MARVELIT presenta

Episodio 26 – The Day Before

Di Valerio Pastore

 

 

Barjñov, capitale del Rumekistan. -2 giorni alla Conferenza Interministeriale UE di Parigi

 

“Mi fa piacere che sia venuta, mia cara, ma ti assicuro che non ho bisogno della baby-sitter,” disse l’uomo avvolto da un lungo impermeabile. Se anche avesse voluto nascondere il costume corazzato chiudendo detto capo di abbigliamento, non sarebbe servito a nascondere gli stivali o la protezione per la testa. Ma l’idea, per lui, non era quella di nascondersi, dopo tutto.

Altro discorso era per la donna al suo fianco, una bionda da urlo in cardigan verde e jeans, i capelli raccolti in una perfetta coda di cavallo. “Come capo missione, le decisioni spettano a me, Remy, e ho deciso che qualcuno con la testa sulle spalle deve guardarti le suddette.”

Lui sollevò le mani. “Cedo all’autorità, ma cherie. Comunque, complimenti per il tuo Rumeki. Le imperfezioni di pronuncia in tedesco sono la ciliegina.”

Lei finse un’espressione sbarazzina. “Conosci le lingue, girerai il mondo. Allora, in quale sordido angolo della città dobbiamo infognarci, per incontrare i tuoi contatti?”

Gambit roteò gli occhi. “Il mondo dei ladri non è sempre quello di un pulp, mia adorata Neena.” Facile a dirsi, ma qualcuno non aveva detto a questo paese di entrare nel futuro.

Il Rumekistan stava vivendo una lunga, terribile fase di instabilità politica, diviso com’era dall’inimicizia tra i due principali gruppi religiosi, Cristiani e Musulmani. La durata media di un Governo era di 6 mesi sui tre anni previsti dalla fragile Costituzione post-Patto di Varsavia. Di fatto, non era raro che una figura chiave politica terminasse brutalmente il proprio mandato, insieme alla propria vita. La criminalità organizzata aveva messo salde radici, ed era il solo riferimento immutabile in un quadro politico e sociale a dir poco mercuriale. L’ambiente ideale per Gambit.

Domino si comportava come una turista, vestiva come una turista, ma i suoi sensi erano attentissimi. La tensione nella gente era palpabile. Le tasche mostravano i rigonfiamenti delle armi detenute in barba alle norme vigenti. Il Comune si sforzava di tenere pulite strade ed edifici, ma erano fin troppe le persone che mostravano i segni dell’indigenza.

Troppi quelli che guardavano lei come carne fresca…dimenticando così di concentrarsi sullo straniero corazzato. Tutto il mondo è paese.

“Eccolo là, il nostro sordido angolo. Abbastanza cliché, per i tuoi gusti?”

Grand Capital Hotel, l’unico polo turistico degno di tal nome di Barjñov. Copiato sul dal celebre Hotel Moskva, sorgeva a ridosso della grande Piazza della Rivoluzione, con vista sull’edificio del Governo e sul granitico cubo del Ministero della Difesa. Di fatto, durante l’era del Patto, il Grand Capital era la sede preferita del Governo. E di fatto, ora i cleptocrati avevano qui stabilito il loro governo.

“Le informazioni vere, ad ogni livello, passano da qui. E la locale Gilda dei Ladri è la migliore fonte a cui rivolgersi.”

“Una rimpatriata, Remy?” Avvicinandosi, si notava di più la differenza sociale. E si notava la presenza di guardie armate in borghese. Non fingevano più di tanto di spacciarsi per turisti.

La porta a vetri si aprì per fare entrare la coppia. “Spero di sì, ma la nostra non è proprio una di quelle fratellanze che vorresti radunata in una cena di famiglia, non?”

Gli interni erano realizzati con materiali di prim’ordine – si poteva dire che quel posto odorasse di ricchezza – ma lo stile era quello sobrio, al limite del minimalista, dell’originale linea staliniana.

Il concierge accolse la coppia con un’impeccabile sorriso professionale. “Posso esservi di aiuto?” E altrettanto professionalmente studiò tanto lui quanto lei, mentre una mano era già andata al pulsante nascosto…

Gambit si fece avanti. “Remy Etienne LeBeau, filiale di New Orleans. Sono qui per vedere il Direttore.” Passò con discrezione un biglietto da visita al concierge, facendolo strisciare sul banco.

L’uomo mantenne la propria maschera di cordialità nel restituire il biglietto. “Ma certo, Monsieur LeBeau. Ascensore 1, ultimo piano. Un ragazzo l’accompagnerà. E la sua…amica?”

Gambit le diede una pacca sul sedere. “Lei resta qui, è qui solo per godersi il panorama e le specialità della casa. Offritele un aperitivo, pago io. Ci vediamo, cherie.”

Con un sorriso smagliante, lei ricambiò il ‘ciao ciao’ che le fece lui. Con le labbra, mimò giusto una parola: ‘morto’.

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Edificio del Ministero della Difesa

 

La berlina nera d’ordinanza andò ad occupare il suo posto in un parcheggio semivuoto.

Dal lato del passeggero, uscì un ufficiale –alto, ben piazzato, sul volto rugoso giusto un accenno di basette imbianchite sotto il cappello.

Dal lato dell’autista uscì la sua attendente, pure in divisa, occhiali a montatura sottile, una donna dai capelli scuri fermati in uno chignon.

Entrambi procedettero verso l’edificio a passo misurato, senza fretta. Lei reggeva una valigetta.

Arrivati all’ingresso, si fermarono per lasciarsi riprendere dalle telecamere. Poi prima l’uomo, poi la donna, inserirono i propri badge nel lettore. Poco importava se il personale dall’altra parte della telecamera non li avesse mai visti prima, erano i badge la chiave.

E la chiave aprì la porta.

La coppia entrò in silenzio, muovendosi lungo i corridoi con la naturalezza di chi ci aveva lavorato da sempre. E in effetti era così. Al Ministero, l’ufficiale era conosciuto per la sua straordinaria dedizione al lavoro, e la sua attendente era la sua ombra fin dal primo giorno, anche se tale dedizione non lo aveva portato in alto da quando il vecchio impero era crollato. Ma con la dissoluzione delle forze armate, che già erano perlopiù di importazione ed ora ridotte all’osso, ci si accontentava di quel che c’era, di chi rimaneva fedele al proprio paese invece di vendersi alla criminalità. Non ci faceva tante domande, quando qualcuno della vecchia guardia veniva al lavoro.

Nessuno li fermò quando presero l’ascensore. Il badge permise loro di scendere al terzo livello sotterraneo. E quando, dopo una breve attesa, la porta si aprì, essa dava direttamente, senza altri accessi, sul loro bersaglio: l’archivio generale.

Entrarono. Porta a spinta, senza serratura.

Andarono ad uno dei tavoli. Ad un cenno di lui, l’attendente posò la valigetta. Ne estrasse un notebook nero, senza alcun logo proprietario.

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Solomon Towers, sede della Justice, Inc., il giorno prima

 

“Scusatescusatescusatescusate!” La donna, che si stava precipitando fuori dall’ascensore con quello che sembrava un laptop nero tra le braccia, finì tra quelle di Deadpool.

“Tiscusotiscusotiscuso quanto vuoi, zucchero e cannella. Hai già un regalino per me? Aw, non sono degno.”

La donna sbatté gli occhi, riprendendosi in fretta. “Sei tu quello a cui dovrei caricare un virus nel DNA se allungavi le mani, giusto?” Poi si voltò verso Domino. “Teamleader, sono Cray, sezione informatica.” Le allungò il dispositivo. “Ecco qua: questo è mio figlio: Zero. Componenti biotech, potenza di fuoco che ci potresti hackerare Iron Man. Mai più problemi con le password, Zero le saluta e passa direttamente al sistema facendo credere di esserne parte. Usatelo saggiamente. In caso dobbiate abbandonarlo, bottone rosso e boom. Potrei capire, può succedere, ma vi ucciderò lo stesso,” concluse con un sorriso smagliante, prima di farsi da parte.

Il gruppo entrò nell’ascensore. Deadpool fece in tempo a dire “Cenetta?” prima che le porte si chiudessero

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“Dovremmo metterci poco,” disse lui sedendosi alla scrivania. “Purtroppo, qui sono rimasti anni 60: c’è un indice elettronico, ma i documenti sono solo cartacei.” Sollevò lo sguardo verso di lei, sorridendo sornione mentre l’apparecchio partiva.

“Il culmine della mia carriera: la bella segretaria,” disse lei, roteando gli occhi.

“Ringrazia il sessismo, non me. Un ufficiale con attendente non va a scartabellare.”

Lei lanciò un occhio allo schedario più vicino. Niente serratura, solo un led rosso e accanto un led spento. Decisamente poco anni 60. “Serrature telecomandate. Che razza di segreti nascondono qua dentro?”

“Lo scopriremo presto. Non ci vorrà molto, ed è il nostro vantaggio: ancora non si può fare niente in questi stati ex-satelliti, senza creare una traccia burocratica. E lo spostamento di un ordigno nucleare genera parecchia burocrazia…Eh?”

“Cosa?”

“Non ho accesso. L’identità che ho rubato è quella di un ufficiale di alto livello, ma non ho accesso.”

Lei si chinò sopra la sua spalla. “E perché un militare non dovrebbe avere accesso ad un database militare?”

“Non ne ho idea. La chiave è divisa in tre operatori, e io dovrei avere un segmento. E ho un minuto per inserire un codice alfanumerico di 16 cifre, poi scatta l’allarme.”

“Il computer non dovrebbe bypassare quella barriera?”

“In locale, sì, ma temo che questi siano server esterni.”

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Grand Capital Hotel

 

Le porte dell’ascensore si aprirono con uno scampanellio direttamente in un ampio salone, e Gambit uscì dalla cabina a braccia spalancate e con un sorriso da volpone. “Milos, fetido contrabbandiere di vodka, quanto mi eri mancato!”

L’uomo in piedi davanti all’ascensore strinse il mutante in un abbraccio ursino. Era enorme, con le braccia costellate di cicatrici da lama, capelli grigi, baffi neri e lo sguardo caloroso. “Remy, adorabile cucciolo di ladro! A che debbo l’onore?”

I due si diressero ad un ampio divano in pelle bianca. Subito il capo della locale Gilda dei Ladri offrì un bicchiere di un liquido profondamente ambrato. “Spero tu non sia troppo giovane per un vero Louisiane. L’ho fatto fare appena mi hanno detto che eri qui, ragazzino.”

Gambit inalò a fondo il perfetto mix di Rye Whisky americano, Vermouth dolce e assenzio. “Un sorso di casa. Quasi mi dispiace di questa visita, compagno orso.”

I due uomini si sedettero. Gli occhi amichevoli si fecero calcolatori. “Spero che non sia una cosa di X-Men, ragazzo mio. I supereroi fanno male ai miei onesti affari.”

“Niente X-Men. Niente supereroi. Ho solo bisogno di sapere se c’è stato qualche movimento non autorizzato intorno alle vecchie basi di lancio.”

Milos si fece pallido. “Ehi, piano! Sono insinuazioni pesanti…”

“Non ho detto che la Gilda sia coinvolta, e so che quei fuochi artificiali non sono sulla vostra lista della spesa. Ma i miei datori di lavoro pensano che qualcuno abbia usato i militari per mettere le mani su…” fu interrotto subito.

Nye. Impossibile. E neanche con la paga migliore del mondo troverebbero qualcuno disposto a violare quei siti. Quelle armi…sai perché i rossi non le portarono via?”

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-20 secondi all’allarme.

E Hunter ebbe l’intuizione.

Non dovevano scoprirlo. I militari locali non dovevano scoprire niente della natura delle armi rimaste qui. Era altamente probabile che le altre stringhe di codice partissero da Mosca, rimbalzando per il mondo per non farsi rintracciare.

Non erano in un archivio.

Erano in un caveau.

-9…-8…-7…

Al diavolo! Hunter aprì un canale. “Tocca a te. Dacci il buio.”

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Toccò a Remy di sentirsi preoccupato, mentre osservava l’amico farsi sempre più cupo. “Armi atomiche più potenti?”

“Magari.”

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La sala generatori era divisa in tre comparti, di cui due di backup, ben riforniti, ben protetti.

Nessuna protezione era tuttavia utile per chi poteva teletrasportarsi. E tre cariche ad alto potenziale silenziarono gli allarmi prima che potessero scattare. Porte a chiusura automatica. Nessuno entra, nessuno esce.

Dal tetto dell’edificio, l’uomo di nome Solo osservò soddisfatto l’istantaneo oscuramento delle finestre. “Eccellente,” disse la voce di Hunter. “Ora fai irruzione. Crea confusione, attira tutta l’attenzione su di te. Non importa che ti vedano, sanno chi sei e come ti comporti.”

“Ricevuto.” La sua figura scomparve l’istante successivo…

 

…per riapparire in un corridoio al terzo piano. Il personale presente era solo quello di guardia, a quell’ora. Non erano ragazzini, ma era chiaro che la sorpresa aveva avuto la meglio sulla disciplina, e stavano cercando un modo di aprire la porta.

Quando si avvidero dell’intruso, era troppo tardi: Solo aveva già lanciato un paio di granate flashbang. Imprecazioni in Rumeki, temporanea cecità e sordità. Un paio di proiettili di gomma ben mirati, e smisero di imprecare.

Solo aveva dichiarato guerra al terrore, e questi erano solo soldati di un esercito regolare, non uno sarebbe morto per mano sua.

Vetro alla porta blindata. Corridoio dall’altra parte vuoto. Un po’ di plastico e via, la porta schizzò in avanti come un proiettile. Granate fumogene, di quelle che avrebbero bloccato anche la visuale ad infrarossi. Molto casino.

 

“Meno male che non sono claustrofobica,” disse la Gatta Nera, in un buio assoluto, rotto solo dalle figure dei due ‘militari’ che sembravano brillare di una luce propria.

“Manteniamo accesi gli induttori olografici,” disse Lupo Bianco. Serviva luce e non dovevano farsi riconoscere. “Apriamo un paio di schedari a caso.” Inutile andare per il sottile…

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Al quinto drink analcolico con olive, Domino pensò ad un secondo modo molto efficace di scuoiare Remy. Avrebbe voluto un martini per elaborarne uno ancora migliore, ma doveva restare lucida—Uh?

Dalla sua posizione presso la vetrata panoramica, la donna vide l’edificio del Ministero della Difesa spegnersi di colpo. Piano B. Male. Non ci volle molto prima che un’esplosione demolisse una delle finestre. La gente era spaventata.

Tranne dei ‘turisti’ solitari. Domino sapeva riconoscere quando uno fingeva, e quei tre non si preoccupavano neppure di fare una grande performance. Si guardavano intorno, ma cercavano facce sospette.

Ovvio che lei, la bella straniera da sola, fosse una dei sospetti!

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Artigli di vibranio ed artigli di adamantio aprirono gli schedari come lattine. I cassetti furono aperti…e subito delle capsule incendiarie fecero scempio del contenuto!

“Ah, maddai!” fece la Gatta. “Tutte queste precauzioni per delle informazioni datate?”

“Non sono datate,” disse Lupo Bianco. “Le proteggono perché intendono ancora sfruttarle!”

Lei fece tanto d’occhi. “Ma se è così, come ha fatto Alba Nera a procurarsi..?”

“Non lo hanno fatto. Non ancora.” La porta si aprì in quel momento. E non erano soldati quelli che fecero irruzione. Indossavano l’uniforme di Alba Nera. “Gli abbiamo aperto la strada!”

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Proiettili dappertutto. Scarso spazio di manovra.

Schedari blindati

E ora che avevano spento gli induttori olografici, buio assoluto, spezzato solo dalle fiochissime torce a led, che gettavano quel minimo di luce per usare i visori notturni.

Inclusi quelli nelle loro maschere.

<<Fuoco di copertura.>> da laringofoni a ricevitori interni nelle orecchie. Potevano parlare senza essere ascoltati. <<Sanno come aprirli senza innescare le cariche. Io attiro il fuoco, tu agli schedari.>>

<<Sempre la segretaria, eh!?>>

<<Chiudi gli occhi al mio tre. Uno…>> Lupo Bianco si accosciò, pronto a spiccare il balzo. <<…due…>> spiccò il balzo, sorprendendo per una frazione di secondo gli attaccanti, che subito sollevarono le armi contro il bersaglio mobile. <<Tre!!>>

Lei chiuse gli occhi. Gli altri no. Proiettili rimbalzarono contro il tessuto di kevlar/vibranio/adamantio secondario. Un tessuto ora brillante come un sole, luce che spazzò interamente via il buio! I soldati urlarono di dolore, era stato come fissare un flash atomico, retine danneggiate, cecità completa temporanea.

I visori notturni avevano tradito anche chi non aveva guardato direttamente: la Gatta Nera non ebbe a lamentarsene, mentre li abbatteva a calci e pugni ben piazzati, mentre passava tra loro come un fulmine.

Di quelli ancora in piedi, Lupo Bianco fece piazza pulita, saltando come un ballerino da uno schedario all’altro, facendo saettare contro di loro le stesse neuro-lame energetiche che usava Pantera Nera. Efficace quanto i proiettili, ma non letale.

“Rapporto?” chiese, atterrando su uno schedario, assicurandosi di avere la visuale libera.

La Gatta perquisì velocemente una delle sue vittime…ed infatti, eccola! Una semplice piastra ad attacco magnetico su un lato ed un pannello LED sull’altro. La appoggiò all’altezza della serratura…e con un ronzio, si accese una luce verde e la serratura scattò.

“Direi che questi ragazzi hanno delle informazioni molto precise sul dove andare, e hanno pure fatto shopping all’AIM.” Estrasse una serie di fascicoli dal primo cassetto. “Alba Nera li recluta bene.”

“Anche troppo, il che la rende un’organizzazione molto più pericolosa di quanto previsto.” Avevano informazioni a livelli assurdamente alti e molti soldi. Fin dove avevano messo radici??

“Dici che Solo ci darà ancora abbastanza tempo o a un certo punto decideranno di abbattere il palazzo?” Aprì il primo fascicolo.

Nel creare un fuoco di copertura, i terroristi avevano dato ai loro uomini il tempo di piazzarsi presso i due schedari che dovevano aprire. Ci si risparmiava una lunga ricerca. “Questi ‘soldati’ devono avere sostituito i rinforzi veri. Sapevano che avrebbero ordinato di sorvegliare l’archivio. Il che vuol dire che abbiamo poco tempo prima che si insospettiscano.”

Altro cassetto aperto. Altri fascicoli prelevati. “E se sono venuti con su le loro divise, vuol dire che hanno una via di fuga rapida, una a cui neppure al Governo avrebbero immediatamente pensato.”

Si guardarono per un momento, ed insieme dissero…

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“Condotti sotterranei?”

“Sì,” rispose la Gatta a Gambit. “Le mappe di quei percorsi sono aggiornate, dovevano essere saldamente chiusi ma Alba Nera li ha riaperti.”

Gambit pensò velocemente. “I file riguardano delle armi biologiche, giusto?”

“Uh, esatto…ma come..?”

***

“Lo so perché i miei genitori ne furono vittime. Prima mio padre, poi mia madre. Gli occupanti Sovietici non installarono delle armi nucleari in quei siti. Installarono delle armi biologiche. Le autorità radunarono in un campo dei sospetti controrivoluzionari. Ero un bambino, allora, ma ora so che i miei genitori, e tutti quei prigionieri, non erano colpevoli di niente. Volevano delle cavie. Noi siamo fieri di parlare la nostra lingua, lo siamo sempre stati, ma mia madre era russa e mi aveva insegnato anche quella lingua. Era sfuggito ai controlli, loro volevano solo quelli che non avrebbero capito nulla, se non alla fine.

“Eravamo in cinquanta. Portarono via mio padre e altri cinque uomini. Tutti sani, tutti forti figli della terra. Ce li restituirono cinque giorni dopo…cioè, ci restituirono i loro teschi. I soldati indossavano delle tute. Li buttarono così, come giocattoli, e se ne andarono. Io vidi uno solo di quei teschi, era così…bianco, e non capivo. Mamma mi lasciò tra le braccia di un’altra prigioniera. Lei andò a raccogliere uno di quei resti insieme alle altre mogli.

“Si ammalarono subito dopo, e li vedemmo agonizzare. La carne sembrava…sciogliersi. E poi toccò a quelli che stavano loro vicino, era come se un angelo della morte stesse accarezzando tutti, e io…so solo che mi aggrappavo alla porta, poi qualcuno la aprì, mi prese e mi portò via da lì. Anni dopo seppi che si chiamava Milos, era un semplice soldato che voleva salvare quel che rimaneva della sua anima. Adottai il suo nome, e nella Gilda feci la mia parte per dare la caccia al vecchio regime, e per i miei meriti mi guadagnai questo piccolo trono dorato.”

Gambit aveva voglia di vomitare. La morte nucleare era una benedizione di fronte a questo orrore..! “E le armi sono rimaste qui? Era un segreto troppo sporco da rischiare di rivelarlo?”

Di nuovo quella risata amara.

“Segreto, sì…ma non per quelle ragioni.”

“Le hanno tenute qui perché ufficialmente se ne sono andati armi e bagagli quando il Patto di Varsavia si è dissolto, ma i comunisti hanno disseminato tutta una serie di sistemi per garantire la fine del mondo, se il loro regime fosse caduto in guerra. Armi nucleari, e…questi. Il mondo crede che si tratti di missili a medio raggio, sono ICBM programmati per esplodere ad alta quota e diffondere questo…orrore. E se ti pare folle, ricorda che i nazisti preferivano uccidere tutti quelli che potevano vicini a loro prima di suicidarsi. Niente regime, niente mondo, cada il mondo.

“Non sappiamo come si chiami il progetto, come sia articolato, ma sappiamo che l’ultima guerra sarà davvero l’ultima. E io..?” Milos fece spallucce. “La Gilda ha aiutato l’esercito a custodire i siti. Ricchi profitti, ma era quello o rischiare che qualche testa calda o peggio qualche fanatico in caftano ci mettesse le mani sopra.”

Gambit guardò incredulo il suo interlocutore. “Ma…dopo quello che ti è successo…”

Milos sospirò. “Non fraintendermi: anche avendo le competenze per rimuovere le testate, che ce ne facevamo? Le scaricavamo in mare, le seppellivamo sottoterra? Col rischio che quell’agente mostruoso si liberasse? Le mettevamo in cassaforte, giusto nel caso che un supercriminale decidesse di procurarsele? In quei silos, sono più al sicuro che in qualunque altro posto… Ma se scoppia la terza guerra mondiale? Non importa che l’occidente sappia o no la verità, qui ci sono tanti silos di lancio, e sono tutti dei bei bersagli per l’occidente. E a quel punto, non importa molto che succederà al resto del mondo, eh?” Si chinò in avanti, a fissare intensamente il suo vecchio amico. “Ma tu ed i tuoi…amici, siete qui per fermarli, sì?”

Remy annuì gravemente. “Vogliono usarne una ad un summit.”

“Idioti. I più pericolosi di tutti.”

***

<<Allora lasciate stare tutto il resto e cercate dei fascicoli relativi a Disinstallazione e Trasporto,>> intervenne la voce di Domino. <<Cercate un sito di lancio facilmente accessibile dai condotti sotterranei. E se ce n’è più d’uno, il vostro obiettivo ha un eliporto militare vicino.>>

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<<Qui ho gli occhi puntati addosso, ma sono tutti distratti dai botti provenienti dal Ministero,>> disse Domino dal bagno dell’albergo, mentre usciva dalla toilette che non aveva usato, prima di andare al lavandino. Specchi con telecamere e microfoni ovunque, un passo falso ed erano dolori. <<Solo. Dirigiti verso l’archivio e fatti sentire mentre lo fai. Devono credere che sia quello il tuo obiettivo, non che qualcuno ci sia già arrivato.>>

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<<Ricevuto.>> Solo andò all’ascensore più vicino. Una granata monodirezionale sistemò la porta. Il teletrasporto non era un gingillo da usare indefinitamente, e gli serviva come vantaggio tattico nelle situazioni più difficili. Questa non lo era.

Si sincerò che l’ascensore fosse sopra di lui. Rampino magnetico contro il fondo della cabina, e giù!

 

Un minuto dopo, la porta al terzo livello sotterraneo fu travolta da un’esplosione e, rottame deforme, andò a rimbalzare contro lo stipite dell’ingresso all’archivio.

Solo uscì dalla tromba con un salto. “Dalla finestra ho visto le truppe radunarsi. Saranno qua a minuti.”

Lupo Bianco uscì per primo, con due agenti di Alba Nera sulle spalle. La Gatta con la borsa gonfia dei fascicoli e del notebook. “Basteranno,” disse l’ex-capo della disciolta polizia segreta del Wakanda. Seguì il tracciato delle mappe sulla sua lente per andare di corsa, seguito a ruota dagli altri, verso l’apertura che ai suoi tempi andava ai condotti sotterranei.

“Souvenir?” chiese Solo, che chiudeva la fila, lanciando ogni tanto un’occhiata dietro di sé.

“Informazioni. Scommetto che o loro od i loro complici conoscono i codici da associare alle istruzioni di smontaggio delle testate. E no, Gatta, non intendo andarci pia—“

C’era un varco ampio quanto una porta, alla fine del corridoio.

Un varco che fu distrutto in quel momento da un’esplosione!

“Non…non andrete da nessuna parte, ‘eroi’!” disse trionfante uno dei terroristi, stringendo un detonatore in mano. Qualunque espressione avesse sotto la maschera bianca si spense quando un buco zampillante gli si aprì sulla fronte.

“Neppure tu,” sibilò Solo. E agli altri, “Piano C?”

Dalla tromba dell’ascensore si udivano delle voci. Le truppe stavano per entrare.

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Domino sospirò. Avrebbe preferito farsi arrestare… <<Piano C.>>

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A bordo del Dragonwing, Deadpool e Chance si batterono il bro-fist.