MARVELIT presenta

POWER PACK

Episodio 30: …E tutto va bene

Di Valerio M. Pastore

 

Lykopolis, Capitale dello Stato Autonomo di Arcadia, Governatorato di Matruh, Egitto

 

La figura femminile seduta al finestrino avvolta da un costume integrale nerissimo, osservava affascinata l’immensa città che il fato aveva recentemente aggiunto alle meraviglie delle Sette Oasi di Matruh. Lykopolis era un sapiente misto di antico e moderno che le ricordava molto il Wakanda –solo che i grattacieli di Lykopolis erano di tale altezza da sminuire il celebre Burj Khalifa.

Altro aspetto interessante, il modo in cui tutti gli edifici fossero di fatto delle isole verdi solcate da stormi di uccelli, di forme ben lontane dai tetri e sterili parallelepipedi delle città umane. Lykopolis offriva una visione…organica dell’architettura.

Ma soprattutto, era in condizioni molto migliori di quanto dicesse il rapporto che sedeva sulle gambe della donna. L’ultimo scontro contro Thulsa Doom e le sue armate aveva causato, stando a quel rapporto, danni molto ingenti alle infrastrutture.

Invece, oggi Lycopolis assomigliava a un folle formicaio percorso da scintillanti figure argenteee e da droni che lavoravano incessantemente su quelle cicatrici. Come se la città fosse davvero una creatura vivente nell’atto di guarire.

Una città che nella sua maestosità esibiva il più triste dei suoi aspetti: era una città fantasma.

Lykopolis: capacità: 7.000.000 di abitanti. Abitanti correnti 175.200 licantropi, 142 Nuovi Uomini.

 

Il velivolo con le insegne del Wakanda atterrò verticalmente sulla pista nello spazio riservato ai diplomatici.

Ad attenderlo, Lady Anubia, Ministra degli Esteri. Nuova Donna, sciacallo, vestita con un’elegante veste rossa e oro, il suo pelo bianco e l’interno delle orecchie dipinti per ricordare le più iconiche immagine del dio da cui prendeva il nome.

Al suo fianco, due figure argentee, impassibili quali lupi antropomorfi meccanici erano.

La donna, che ora indossava anche la maschera della Pantera Nera, scese dal velivolo con solennità. Lei non era la Regina M’Koni, o il Primo Ministro Taku, ma ne era a tutti gli effetti la rappresentante. Ogni sua parola era la parola del Sovrano, ogni decisione una decisione del Governo.

Portava su di sé una grande responsabilità, sbagliare non era un’opzione.

“Benvenuta ad Arcadia, Ambasciatrice Shuri” disse Anubia con un inchino, ricambiato dalla Pantera. “Confido che il suo viaggio sia andato bene.”

Le due donne iniziarono a camminare verso l’edificio dell’aeroporto. “Molto. E credo di dovere riprendere qualcuno, ai nostri servizi segreti: state molto meglio di quanto mi aspettassi. Senza offesa.”

“Nessuna offesa. Dopo l’attacco di Thulsa Doom, un membro del nostro Power Pack, Karnivore, ha avviato un protocollo speciale, Alma Matrix. In un certo senso, ha…mescolato il magico al meccanico, per potere avviare la ricostruzione e predisporre nuove misure difensive. Peccato non averlo avuto prima.”

Shuri osservò le macchine che le scortavano. “Design interessante.”

“Riferirò. Sono basati su un nostro ex-membro, Warewolf. La sua matrice ora rivive in ognuno di questi simulacri.”

“Sappiamo che l’Uomo-Bestia…chiedo scusa, Karnivore, è un genio. E’ sua questa tecnologia?”

Anubia annuì. “Ogni singolo pezzo è un suo progetto.” Entrarono nell’edificio, dove li accolse uno spazio vuoto. La Pantera si sentì nervosa. Era come camminare in un miraggio che poteva svanire da un momento all’altro…

Anubia disse, “Lo riempiremo. Presto i visitatori e i nuovi cittadini arriveranno a frotte.”

I loro passi, per quanto attutiti, suonavano fin troppo rumorosi in quel set da film post-apocalittico. “Credevo che aveste già assembrato tutti i licantropi del mondo a Lykopolis.”

“La stragrande maggioranza. I nuovi cittadini di cui parlo, Ambasciatrice, sono gli umani. Fin dal primo giorno della ricostruzione abbiamo inviato milioni su milioni di avvisi, di email personalizzate, alla ricerca di quelle persone che avrebbero risposto positivamente all’idea di prendere residenza in cambio di un matrimonio fertile con la nostra gente.”

Usciti dall’edificio, furono di nuovo accolte dall’aria profumata delle oasi vicine. La strada era ampia, alberata su entrambi i lati, con i rami intrecciati a formare una volta verde in cui brillavano le sciabole del sole, come se la pista dei veicoli fosse stata integrata in una foresta.

“Credo che preferirò camminare,” disse Shuri. Non aveva fretta, era qui per vedere, osservare, capire. “Ma cosa stava dicendo sui matrimoni?”

Anubia annuì. “Fino a poco tempo fa, i soli modi per un licantropo non-mutante di trasmettere un’eredità era attraverso una maledizione di famiglia, come per i Russell, di cui sono sicura avrà sentito parlare.” E senza aspettare risposta, continuò, “o il Morso. Come un’infezione. Un metodo non solo selvaggio, ma che causava spesso la follia del contagiato, se non la morte. Persino Jack Russell impiegò anni prima di capire che doveva vivere come parte del suo lupo invece di tenerlo incatenato. Anche se il ricevente fosse consenziente, è, appunto un rischio troppo elevato. Pessima pubblicità.

“Un cucciolo nato naturalmente non soffrirà questi problemi. Negli accoppiamenti con umani, il gene licantropico è sempre predominante. Non passerà molto tempo prima che questa città si riempia. E i mutanti lupoidi aggiungeranno un’importante variazione genetica.”

“E gli uomini, le donne che verranno qui…sono informati?”

“Se intende dire in ogni rispetto, Ambasciatrice, la risposta è sì. Hanno risposto positivamente 3.333.825 umani da tutto il mondo, hanno riempito schede su schede di test, fatto colloqui approfonditi con medici e psicologi, si sono sottoposti ad ogni esame possibile.” Anubia rivolse un sorriso alla sua controparte. “Sono entusiasti, sinceri, più di quanto noi stessi ci fossimo aspettati. La nostra presenza alla luce del sole ha avviato un processo di feedback molto positivo, vengono fuori coloro per i quali eravamo solo una fantasia.

“Naturalmente abbiamo dovuto essere molto selettivi, i lupi sono rigorosamente monogami e si sposano per la vita, senza compromessi. Inoltre noi non cerchiamo solo stalloni e fattrici, abbiamo bisogno di un tessuto cittadino sano e produttivo, gente con ampie competenze o quantomeno con potenzialità e voglia di imparare. Di fatto, dobbiamo costruire un tessuto sociale che non era esistito da tempo immemore.”

“Uscire alla luce del sole vi ha anche causato altri problemi.”

Anubia tornò impassibile. Inutile chiedere alla Pantera se avesse visto i video delle proteste che laceravano l’Egitto. L’intera area mussulmana del medio oriente era in fermento. Il Governo egiziano rifiutava completamente di cedere alcunché della propria sovranità territoriale. Gli ortodossi minacciavano comunque fuoco e fiamme al minimo segno di cedimento della politica: che ironia, il Corano predicava apertamente l’amore verso gli animali, ma naturalmente il lupo era un nemico mortale da schiacciare, l’animale impuro. E ora un paese mussulmano si era trovato il nemico in casa. Un vero peccato che quando Lykopolis fu creata, il monoteismo non esistesse…

“Comprendiamo che riconoscervi sarebbe un passo fondamentale per voi,” disse la Pantera. “Ma Sua Maestà ed il Governo vogliono comprendere come contate di difendervi, che relazioni intreccerete con il resto del mondo. Il Consiglio comprenderà che non possiamo sanzionare un conflitto.”

Anubia annuì. “Le misure automatizzate ci difenderanno contro gli attacchi convenzionali, ma abbiamo chiesto un ulteriore supporto.” Toccò un braccialetto al polso sinistro, ed apparve un ologramma: rappresentava un robot, una macchina nera e bianca, la testa simile ad un sinistro elmo dalle due ampie corna dorate ad ‘L’ e come bocca una griglia d’acciaio.

Great Mazinkaiser,” disse Shuri. “Uno degli Shogun Warriors.”

Anubia annuì. “Ci siamo impegnati a fornire loro nuove soluzioni per i loro super-robot, in cambio di un aiuto strategico in caso l’Egitto volesse davvero dichiararci guerra.

“Disponiamo inoltre di un nostro…speciale dispositivo per sopravvivere ad un attacco nucleare, se necessario. Mi scusi, ma non ho la libertà di divulgarne i particolari. La nostra forza d’assalto, il Power Pack, sarà incrementata e ristrutturata per fare fronte a molteplici scenari contemporanei. Sono stati molto bravi contro Thulsa Doom, ma non basta. Appena sarà pronto, comunicheremo il nuovo roster alla Regina M’Koni.

“Per ora, posso anticiparle che una parte del nuovo roster sarà usata innanzitutto per aiutare i nostri fratelli e sorelle sparsi per il mondo, secondariamente in operazioni speciali in collaborazione con lo SHIELD e l’altra con lo SWORD. Siamo disposti ad aiutare altre nazioni in operazioni ufficiali antiterrorismo, ma solo se in cambio riceveremo il riconoscimento.”

“Lo SHIELD e lo SWORD sono organizzazioni dell’ONU.”

“Ci hanno chiesto di non fare domande.” Poi, senza smettere di camminare, Anubia guardò la sua ospite dritta negli occhi. “Non ci aspettiamo che le cose cambino dall’oggi al domani, ma non intendiamo fingere di vivere in un’oasi felice lontana dal mondo. Questa città, seppur ammodernata, esiste da molto prima che due gemelli allevati da una lupa fondassero i rudimenti di una città. Non intendiamo sentirci estranei a casa nostra.”

“Se vi può consolare, la maggioranza della comunità superumana, stando ai nostri servizi, è con voi. Credo che dobbiate aspettarvi una visita da Atlantide, da Latveria, dalla Symkaria e da Attilan. E i Vendicatori vorranno parlarvi.”

Un breve sorriso tornò ad increspare il muso dello sciacallo. “E’ una bella notizia.”

“Cosa c’è nel vostro futuro? Come nazione, intendo.”

Un sospiro appena esalato. “Impossibile dirlo. Non abbiamo la necessaria esperienza per entrare nel mercato, per questo ci occorrono alleati come il Wakanda. Voi sapete come muovervi, sapete cosa è più necessario alla gente. Saremo felici di appoggiarvi in toto al vostro progetto di espansione politica, anche se solo restando nell’ombra.”

“Il Governo terra conto dell’offerta.”

Erano ormai giunte in una piazza. Qui trovarono un gruppo di una dozzina di persone. Adulti, femmine e maschi, in forma ibrida, che parlavano, lottavano, correvano… Un occhio superficiale avrebbe visto solo degli animali selvaggi intenti a fare confusione. Gli umani non sapevano apprezzare la fisicità di questa specie nei rapporti sociali…

Segnali di vita. I loro suoni echeggiavano tra le mura, ma quei lupi erano a loro agio.

Vigorosi, forti…e condannati a non riprodursi. Le femmine gravide subivano complicazioni fatali, i feti erano deformi oltre ogni recupero. Si percepiva la tensione nell’aria, il desiderio che non poteva essere soddisfatto oltre il semplice sesso.

“Gli umani saranno bene accetti?” chiese la Pantera.

“Non ci aspettiamo miracoli, ci saranno frizioni, litigi, incomprensioni…ma è la nostra ultima occasione per provarci. Anche la nostra gente ha dovuto sottoporsi ad una serie di test, ma possiamo solo ipotizzare un grado di compatibilità. Ci sono delle coppie già formate, dovranno accettare uno o due ‘intrusi’… Sinceramente? E’ un esperimento, ma non abbiamo alternative. Dev’esserci buona volontà da entrambe le parti.”

“I paesi giovani peccano sempre di entusiasmo, Ambasciatrice Anubia. Ragionano su una scala piccola ed immediata, raramente comprendono le implicazioni di un mercato globale, degli obblighi, delle condivisioni. Entrate in un quadro più grande di voi.”

Anubia piegò leggermente la testa. “Ed è forse una ragione per non iniziare a camminare nel mondo?”

Shuri si tolse la maschera. Sorrideva.

Tese la mano

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“Saltellare a quel modo è un sistema per far fare loro il ruttino?” chiese il mannaro dal pelo argenteo alla donna dai corti capelli rossi che stava al suo fianco, apparentemente incapace e di smettere di sorridere e di stare ferma nelle proprie scarpe. I due neonati che reggeva tra le braccia borbottavano contro quel trattamento.

“Eh, come?” finalmente, Rahne Sinclair (Wolfsbane), riuscì a concentrarsi sull’ambiente e sulla situazione, ma riportò presto gli occhi sull’Airbus europeo che portava un carico molto speciale. Sospirò. “Scusami, Hrimhari. Ma è davvero tanto tempo che non incontravo questi amici; fino ad ora sono stata fortunata a trovare il tempo per scrivere loro, e…” altro sospiro. “La mia famiglia, oltre a mamma Moira, sono stati i Nuovi Mutanti, e non rimpiango un solo giorno con loro, ma questa gente…mi ha permesso di apprezzare la mia natura nella propria integrità, mi ha fatto sentire parte di qualcosa. Prima del Branco, c’erano loro. Mi sono mancati.” Poi fu lei a rivolgergli un sorrisetto malizioso. “E mi sei mancato anche tu, mio principe. Sono felice che tu abbia scelto di venire qui.”

“Quando ho saputo della tua maternità, mia amata, mi sono sentito così orgoglioso per te, e ho capito che il mio posto era comunque al tuo fianco, anche se il tuo cuore appartiene al sire dei vostri figli.” Il lupo abbassò lo sguardo. “Ho molto da fare per salvare il mio onore: ho lavorato per un folle che con le sue arti oratorie ci ha convinti ad aiutarlo. Non avrei potuto restare un solo momento in più nello Zilnawa.”

L’Airbus A-380 toccò in quel momento la pista di atterraggio. Era il sogno bagnato di un pilota dei giganti dei cieli: spazio aereo deserto e nessuna fila per atterraggi e decolli.

Rahne avrebbe voluto abbracciare Hrimhari. “So cosa significa essere ingannati, mio Principe. E so che devi fare pace con te stesso a tuo modo. E io per te ci sarò sempre; ora sei branco, con noi.”

Lui abbozzò un sorriso. “Te ne sono grata. Io—“ in quell’esatto momento, si ritrovò come per magia due neonati tra le braccia. Al posto di Rahne era rimasto un paio di scarpe. Hrimhari sorrise divertito, vedendo una lupa ferale rossa che correva a più non posso verso i passeggeri appena scesi dall’aero.

La lupa coprì gli ultimi metri con un salto, assumendo a mezz’aria la forma ibrida, a braccia spalancate, gridando: “GWYDION!”.

L’uomo dai capelli e dalla barba grigi, che t-shirt e jeans a stento contenevano, un aspetto del vestiario comune praticamente a tutte e trentadue i passeggeri che lo seguivano, spalancò le braccia a sua volta, ridendo felice. “RAHNE!” e la prese al volo…finendo a terra insieme a lei. E per una volta tanto, Rahne fu più che felice di abbandonarsi, leccandogli il volto freneticamente, mentre quasi gli stritolava le costole.

“*Urk!* Ahh, ragazza mia, sei davvero diventata forte. Anzi…” riuscì a mettersi seduto e poi ad alzarsi, tirandola su. “Anzi, sei proprio donna. Abbiamo saputo della tua impresa contro l’avversario, e finalmente questo branco di testoni si è deciso a cambiare casa. Per adesso.”

Rahne tornò umana. E si rivolse agli altri passeggeri. “Tuatha de Danan, grazie. Una battaglia terribile è finita, e ora la vostra nuova casa è sicura.” Si voltò ad indicare il maschio che si avvicinava. “Lui lo conoscete, è Hrimhari di Asgard, e loro sono i figli che ho avuto con Jon Talbain.”

Gwydion, il capotribù degli ultimi licantropi Celtici di Avalon, esaminò i bambini. Solo per educazione non li annusò da vicino, ma si capiva che stava cogliendo il loro odore. “Bellissimi, sani…Ma non mi aspettavo niente di meno da te. Sarebbero stati una splendida aggiunta al nostro numero, se avessi accettato la nostra offerta[1].” E le strofinò le nocche sulla testa.

Rahne mostrò una punta di lingua. “Oggi me lo dicono in parecchi. Ma non temete: ci sono altri mutanti come me, e presto tanti umani daranno nuovo sangue alla nostra gente.”

Una donna dai capelli castani si mise accanto a Gwydion. Rahne si ricordava bene di sua moglie, Meghann. “Non è la migliore soluzione cui potevamo pensare, bambina mia, Ma siamo gli ultimi e non è più il momento di fare gli schizzinosi. Siamo rimasti legati troppo tempo alle nostre tradizioni, e come risultato siamo vicini all’estinzione. Il Consiglio farà tutto il possibile, e se tu ci credi, ci crediamo anche noi…” si guardò intorno. “Ma…dov’è tuo marito? Il suo posto dovrebbe essere con te.”

Rahne sospirò. “Buffo che abbiate menzionato il Consiglio: sono stati proprio loro ad assegnargli un certo incarico…”

 

Lykopolis. Popolazione mannara: 175.233

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Magazzini Cavendish, Port Morris, South Bronx, New York

 

L’ultima volta che questa zona, e non solo questa, era stata pressoché deserta, bisognava tornare a quell’infame data del 2001.

Oggi, un nemico invisibile, privo di colori politici, privo di ideali, ma molto più subdolo e letale, aveva ottenuto lo stesso effetto, e per ben più tempo.

SARS-COVID-19 aveva messo a dormire le strade della città che non dorme mai. Solo gli incoscienti cercavano ancora di vivere una normalità che per ora esisteva solo nella propria mente.

E poi era successo un altro fatto brutto.

E mezzo paese era finito nelle fiamme della rivolta e delle proteste razziali. E un po’ di vitalità era tornata per le strade, e il virus ne aveva tratto un inaspettato beneficio.

A pagarne il prezzo erano, tra gli altri, proprio coloro che volevano solo un mondo migliore; stasera, se il virus fosse stato senziente, gli sarebbe dispiaciuto di veder morire tre ottimi portatori latinoamericani nel fiore degli anni che avevano appena partecipato ad un comizio per i propri diritti.

Non proprio tre bravi ragazzi, certo, tre membri di una gang, con abbastanza precedenti da fare felice un avvocato penalista…

…Ma pur sempre degli angioletti, se paragonati ai loro sette caucasici coetanei in canottiera e giubbotto di pelle bianco, svastica tatuata sul dorso della mano destra, cresta bionda.

“Che carini che eravate,” disse il capo del gruppo, che solo uno sfregio sulla guancia sinistra distingueva dai suoi ‘cloni’, “tutti insieme come tante brave scimmiette a dire che eravate importanti. E sapete una cosa, cicos? Per noi siete taaaanto importanti, tanto da inseguirvi fin qui. Bella corsa, ma si sa che voi bestiacce siete brave a scappare, hm?” sollevò la mano che reggeva il coltello. “Ma da qui non si scappa: coraggio, fateci vedere il colore del vostro sangue.”

I sette si avvicinarono al trio, che faceva il possibile per indietreggiare mantenendo qualche metro di distanza, ma in quello spazio chiuso non era semplice. Lo divenne ancora meno quando i sette si sparpagliarono per coprire le vie di fuga. Per spingere le loro prede verso il muro più lontano dalla porta.

Nessuno in strada. Nessun poliziotto sarebbe venuto a dare un controllo a questa struttura vuota da anni.

Sarebbe stato un piacevole massacro, pensavano i sette. Ci sarebbe stato tempo per divertirsi con questi esseri inferiori.

O forse no!

La porta era di quelle antiscasso, di solido metallo, serratura antiproiettile. Ciononostante, fu spinta dentro il magazzino come un missile, con una tale potenza da piegarla come un pezzo di stagnola! Lo sfortunato ragazzo che si trovò sulla sua traiettoria morì con la schiena, le costole e diversi organi interni spappolati ancora prima di arrivare contro il muro opposto, trasformandosi in un grumo sanguinolento tra acciaio e cemento.

Per alcuni secondi, cadde un silenzio mostruoso nel vecchio magazzino.

I latinos, ora, sorridevano.

I loro nemici, guardando chi stava entrando, capirono di essere già morti.

La morte venne sotto forma di due lupi mannari, dal pelo nero come la notte, massicci come statue.

Implacabili.

I sei rimasti non ebbero il tempo materiale di reagire: le belve furono loro addosso con un solo balzo. Impiegarono meno di cinque secondi per sventrare, infrangere gabbie toraciche, decapitare. Un lavoro sporco, veloce. Nessun grido. Solo il triste suono finale di corpi che cadevano e teste che rotolavano.

Nessuno in strada. Nessun poliziotto sarebbe venuto a dare un controllo a questa struttura vuota da anni.

I tre ragazzi si avvicinarono alle belve trionfanti. “E questo insegnerà a Giorno Dorato a non entrare mai più nel territorio degli Hermanos de la Luna, sì!

Il maschio sollevò il braccio sanguinante ad indicare la porta. “Ora andate,” disse con una voce come ghiaia rotolante. “Chiamate la Pulizia! I corpi devono sparire entro trenta minuti.”

Uno dei ragazzi prese il telefono. “Ci penso io. Grazie, Hermano.

Dopo che i ragazzi furono usciti, la femmina della coppia si accovacciò ed afferrò una testa, la annusò. Ghignò, soddisfatta. “Ci teneva all’igiene. Tanto meglio…” spalancò la bocca…

Il maschio le mise una mano sulla spalla. “No, Esmeralda. Abbiamo già fatto quello che dovevamo. I Fratelli Lobo non infieriscono.”

Lei ringhiò orribilmente, ma si trattenne. Gettò via la testa con noncuranza. “Sei sempre stato troppo tenero, Carlos. Questi corpi verranno distrutti, qui resterà solo il sangue di questi miserabili, ad avvertimento per i nostri nemici; perché negarsi un buon pasto con la propria preda?”

La presa si fece più salda. “Perché siamo i più forti, non dei selvaggi, sorella mia.”

“Dovresti dargli retta, dolcezza,” disse una nuova voce, facendo sobbalzare i mannari. Chiunque fosse, non ne avevano neppure percepito l’odore, com’era—“TU!” esclamò Carlos

Allo stipite della porta, stava appoggiato un terzo mannaro: pelo blu e bianco, una folta criniera e una lunga coda pure blu. A differenza dei Lobo, indossava un paio di calzoncini, pure blu, ed una cintura gialla. Jon Talbain, esperto di arti marziali, membro del Power Pack.

“Cosa ci fai qui?” ringhiò Carlos. “Mi sembrava di essere stato chiaro, quando me ne sono andato—“

“Oh, sei stato chiarissimo,” disse Jon, entrando nel magazzino a passi calmi come la sua voce. “Ma il Consiglio mi ha mandato qui per informarvi di un paio di cose: sei ancora un membro del Pack, e quando avremo bisogno di te, verrai. Se la cosa non ti va, lamentati col tuo sindacalista…se ne avessimo uno.

“Secondo, il Consiglio mi ha incaricato di informarvi che Esmeralda Lobo e Glory Grant sono da ora cittadini dello Stato Autonomo di Arcadia. Potrete venire quando volete, vi basterà chiamarci.

“Terzo, Carlos, come cittadino non residente e membro distaccato del Power Pack, hai l’obbligo di proteggere e segnalare i nostri fratelli nella tua area di operazioni. Se non sarai in grado di proteggerli, chiama il Power Pack.

“E quarto, e più importante: il Consiglio non approva il vostro operato. Ora che siamo usciti allo scoperto, le vostre azioni gettano altro fango sulla nostra reputazione…ma è anche vero che gli umani detestano la nostra gente—“

“Noi siamo mutanti, Jon,” lo interruppe Carlos. Accanto a lui, Esmeralda si era già acquattata, pronta ad attaccare. “Per quanto mi riguarda, potremo andare a chiedere rifugio presso i Marauders.”

Gli occhi gialli di Talbain si indurirono. “Voi siete sangue,” continuò sempre con voce calma, ma ora più implacabile. “Cercate di trasformare i vostri…affari in una soluzione che ci torni utile, ma nel momento in cui vi ergerete a minacce nazionali o peggio, o se spargerete sangue innocente, sarà mia cura tornare e uccidervi. Ora rispondete anche alla nostra legge.”

“MAI!” ruggì Esmeralda, saltando velocissima addosso all’intruso. Tempi calcolati perfettamente, spazio di manovra minimo per quell’arrogante—“Erk!”

Si trovò arrestata a mezz’aria, con cinque artigli dorati, ora lunghi come sciabole, infilati nella spalla sinistra.

“Esmeralda!”

Jon la fissò negli occhi rosso-sangue. “Fai un solo movimento, femmina, e perderai quel braccio. E tu, Carlos, cerca di essere un insegnante più severo. Ha potenziale, non sprecarlo.” Ritirò il braccio, e gli artigli tornarono a dimensioni normali. La luce dei fari di veicoli riempì per un momento il magazzino attraverso l’ingresso.

Jon camminò verso la porta. “Buona caccia, Hermanos de la Luna. Spero di rivedervi da amici.”

Una volta fuori dalla porta, sotto gli occhi di una indecisa squadra delle pulizie, piegò le gambe per spiccare un salto, e subito dopo il suo corpo fu avvolto da un’intensa aura cerulea, come una fiamma. Si trasformò in cometa, e in un’istante schizzò via in cielo.

I Fratelli Lobo si scambiarono un’occhiata muta.

Ora avevano un problema…

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Lykopolis

 

“Credo proprio che mi piacerà vivere qui,” disse la ragazza indoamericana, fissando talmente intensamente la piramide cava di acciaio e vetro che scintillava sotto il sole che pareva volersi staccare gli occhi solo per potere osservare ancora meglio. La struttura sorgeva come un’isola a sé stante su un’isola in mezzo ad un’oasi interna. L’acqua era chiara, cristallina, non c’era alcun odore che tradisse la presenza di agenti inquinanti disciolti in essa. Alberi dappertutto.

Sunhome, quartiere verticale residenziale, nonché abitazione civile del Power Pack.

Goodness, non è educato comportarsi così. Non siamo turisti,” disse la donna seduta accanto a lei, e fece per prenderle il braccio.

Il giovane seduto all’altro fianco della donna ridacchiò. “Mamma, rilassati. Questo posto è favoloso, lascia che se lo goda. E’ casa.”

“Un deserto artificiale,” brontolò il lupo dal pelo grigio-acciaio in un costume bianco, seduto nella fila opposta. “Una città vuota, è come vivere in una gabbia immensa.” Lupo, mutato della Terra Selvaggia, ex-Marauder.

“Veramente stiamo entrando nella zona più popolata,” disse l’uomo in camicia e jeans seduto sulla stessa fila, a qualche sedile di distanza. “Sunhome offre alloggio a diecimila mannari. Gli altri edifici ospitano il resto dell’attuale popolazione. La compagnia non ci mancherà.” Jack Russell, Licantropus.

Goodness Silva spostò a malincuore lo sguardo dall’edificio alla pallida donna seduta accanto a quel bell’uomo. “E tu saresti una vampira?”

La donna annuì. “Licantropa di nascita per maledizione, con un bonus-vampiro per morso. La fortuna di famiglia.” Si allungò per stendere la mano. “Nina Price, cugina di questo simpaticone. Voi siete mutanti o mistici?”

“Mutanti,” risposero tutt’e tre i Silva. La madre continuò. “Mi scusi le sue maniere. Io mi chiamo Heavenly. La nostra famiglia è abituata a migrare: i miei genitori dovettero lasciare l’India per via delle persecuzioni. In America abbiamo dovuto fare il possibile per tenere un profilo basso, a causa del ricorrente clima anti-mutante, ma abbiamo certamente vissuto meglio che nel nostro paese natale. Poi, qualche giorno fa, siamo stati contattati dalla vostra gente, che ci ha offerto un’altra nuova vita.” Accarezzò la testa della figlia. “Fin dalla morte di mio marito, ho dovuto pensare al meglio per loro. Spero di avere preso la decisione migliore.”

Jack evitò di dirle che, se fossero stati qui durante il conflitto con Thulsa Doom, probabilmente non sarebbero stati neanche vivi, ma il Consiglio era stato chiaro quando aveva lanciato la sua offerta a lui e Nina: un simile evento non si sarebbe ripetuto. Ed aveva mostrato loro come avrebbero mantenuto tale promessa.

Gli era bastato.

Ora Goodness stava osservando Lupo con interesse attraverso gli occhiali. “Certo che la tua fursona è un tantino smilza. Mai sentito parlare di palestra?”

“Goodness!” esclamò sua madre.

“’Fursona’..?” fece Jack.

Lei fece spallucce. “E come vorresti chiamare il nostro peloso e charmante aspetto, mister? Stai al passo coi tempi.”

“Ma chi usa un termine simile?”

Lei roteò gli occhi. “Ah, tipo milioni di persone che vivono nel 21° secolo e non sono dei bigottoni? Bollettino speciale, capo: quelli che verranno ad abitare qui sono tutti furry duri e puri di formazione culturale e pansessuali di orientamento. It’s the new way, baby!”

Heavenly voleva morire lì e subito. Il fratello di Goodness, Lucky, non smetteva più di ridere. Lupo decise che l’avrebbe uccisa con calma, più tardi…

 

L’autobus si fermò in un piazzale, da cui dipartiva un viale alberato che conduceva all’ingresso.

“Niente guida? Niente comitato di benvenuto?” chiese Jack, scendendo per primo.

“Stando ai documenti informativi,” disse Goodness, “Questo posto è tutto smart. Dovrebbe esserci una IA a—eep!”

L’ologramma di una mannara apparve di colpo davanti al gruppo. Per lo spavento, con un suono di vestiti lacerati, la ragazza lasciò istantaneamente il posto ad un maschio mannaro dal pelo blu e bianco grosso come un armadio! “Aw, uffa! Era la mia maglietta preferita!” Si guardò sotto quanto rimaneva dei pantaloni, trovando il pantaloncino ‘HulkWear’ bello che intatto. “Fico.”

Nina sollevò un sopracciglio. “Non eri una femmina, fino a poco fa?”

“Gender fluid. 21° secolo, amica.”

Nina osservò Lucky, che fece spallucce. “Nostra madre è gender-frozen, ma il sottoscritto è l’anima del Pride!”

Lupo decise che non avrebbe cercato di uccidere Goodness.

-Benvenuti a Sunhome,- disse l’ologramma. -Io sono Virgilia, e sarò la vostra guida in ogni momento. Vogliate portare pazienza e seguirmi, mentre vi porto ai vostri appartamenti. Spero che abbiate fatto un buon viaggio.-

“Uh, ottimo,” disse Lucky, accodandosi agli altri. “Come mai assomigli ad un fantasma? Non hanno pagato degli upgrade decenti?”

-Date le mie funzioni, non era necessario andare oltre questa conformazione grafica. Un aspetto troppo realistico avrebbe mandato in confusione i residenti ed i turisti.-

Uncanny Valley,” disse Goodness.

-Corretto. Dunque, se mi vorrete permettere, questo edificio è un’isola autonoma. E’ provvista di ogni servizio, incluso un impianto di carne sintetica e serre idroponiche.-

Lupo fece una smorfia. “Sempre più folle, e chi la mangerebbe una roba del genere?”

Il gruppo aveva appena varcato la soglia, quando Virgilia disse, -Tutti.-

Diecimila è un numero. La mente non riesce ad immaginare diecimila di qualunque cosa; quando si cerca di spiegarlo, ‘diecimila’ diventa ‘tanta roba’, una quantità indistinta.

Ma si comincia a farsene un’idea quando si vede una gigantesca, unica piazza, all’ombra delle pareti solari, disseminata di lupi mannari di ogni taglia e colore!

Goodness e Lupo furono i primi ad apprezzare, a mascella spalancata, quello scenario in tutte le sue sfumature, dalla vista ai suoni e soprattutto dall’odore. Il loro background culturale aveva cercato invano di suggerire ‘puzza d’animale’. La loro percezione parlava di una varietà di aromi e profumi che ridisegnò la loro realtà.

Ed erano solo una frazione della popolazione corrente. Jack si sentiva la gola secca. “Nina, penso proprio che…Nina?”

Sua cugina se ne stava lì, con una mano davanti alla bocca, gli occhi lucidi, trattenendo le lacrime. “La nostra gente. Qui non devo…nascondermi…” Aveva passato gli ultimi mesi a chiudersi in confino, la notte, per non rischiare di fare del male a qualcuno. Mesi in cui aveva pensato che mai avrebbe conosciuto la vera pace nella propria vita, la vera libertà.

Ora capiva di essere davvero a casa.

“Credo di volere abbracciare qualcuno,” disse Goodness. “Credo di volere abbracciare tutti. Abbracciamo tutti.”

-Le regole sociali sul contatto fisico sono molto più aperte, a Lykopolis, ma siete invitati ad imparare a riconoscere il linguaggio corporeo e rispettarlo. Prego, seguitemi.-

Nell’attraversare la piazza, non ci fu naso o paio di orecchie e d’occhi che non scrutassero ad educata distanza i nuovi arrivati. Il maschio azzurro stava trattenendo a stendo la voglia di saltare addosso a qualcuno. Ci sarebbero state parecchie scene imbarazzanti quando sarebbero arrivati gli umani.

Poi passarono davanti ad un chiosco di street food. Diversi stomaci brontolarono.

“Carne sintetica?” chiese Heavenly, osservando arrosticini, hamburger, polpette ed altre delizie fumanti su una griglia rovente.

-Corretto. Cellule clonate in laboratorio e portate a maturazione seguendo specifici parametri. Proteine pure, prive di additivi farmacologici e di carica batterica e virale.-

“E…quanto costa quella roba?” chiese Lucky, notando l’assenza di un cartello dei prezzi.

-Niente. Abbiamo le risorse e le infrastrutture necessarie per essere autonomi entro certi limiti, e la città può sostentare autonomamente le necessità di base della popolazione a pieno regime, ma evitando accuratamente ogni spreco. Siete pregati di consumare solo ciò che potete. Se avrete ancora fame dopo…-

“Lascia stare, Gil,” disse Jack. “Credo abbiano smesso di ascoltarti dopo ‘niente’.”

Lupo, Goodness e suo fratello, che ora era in tutto e per tutto una colossale volpe rosa femmina a due code, si stavano ingozzando indegnamente e con una tale frenesia che sembravano volere smantellare il chiosco

“Ho cresciuto due mostri, che vergogna,” disse Heavenly, coprendosi gli occhi.

 

“No.”

Per educazione, quando qualcuno dice ‘no’, l’argomento dovrebbe cadere lì.

Se a dirlo è un uomo alla sua quarta birra, che sembra il sogno vichingo incarnato, coperto di tatuaggi, con indosso una corazza di maglia e uno sguardo che promette dolore, sarebbe consigliata una prudente ritirata.

L’uomo in giacca e cravatta dall’altra parte del tavolo, fisico snello, volto affilato, nel complesso l’antitesi fisica del suo interlocutore, contrasse le labbra in una smorfia indignata. “Che vuol dire, ‘no’?”

Il vichingo bevve un altro sorso di birra. “Per essere il dio degli inganni, colui che si reputa il più astuto degli Aesir, non sembri essere capace di comprendonio. Ma te lo spiegherò lo stesso.” Indicò con la testa le altre tre figure sedute al tavolo del bar, altri tre uomini, due gemelli dai capelli neri, barba e baffi spioventi, mentre il terzo, più giovane, presentava una chioma di capelli bianchissimi e occhi dalle pupille color ghiaccio. “Io, mio figlio ed i miei fratelli resteremo su Midgard. “Questo posto ci piace, vi ho combattuto una splendida battaglia, e molti dei suoi lupi sono miei adoratori. Sono un dio, padre, dovresti sapere bene quanto sia importante mantenere buoni rapporti coi propri fedeli.

“Ma soprattutto, non ho alcuna voglia di tornare a languire in una caverna in attesa del Ragnarok. Tu resta pure su Asgard ad ordire le tue piccole trame.” Altro sorso. “Comunque, stai pur tranquillo: quando la Fine verrà, noi ci batteremo per adempiere al nostro ruolo. Ora, sono stato chiaro?”

Loki scattò in piedi. Giacca e cravatta lasciarono il posto ad un costume verde e oro con il familiare elmo cornuto. L’irata divinità puntò un dito accusatorio contro il suo interlocutore. “Miserabile, ingrato…cucciolo! Non osare mancare di rispetto al tuo Sire! Sono io a detenere le redini della tua inutile esistenza! Tu mi appartieni e farai come ti dico!!” Intorno a lui, l’aria già crepitava di energie arcane.

Il vichingo non ne fu impressionato. “No,” ripeté, stavolta mostrando un sorriso pieno di zanne inumane…

 

¡Que viva el progreso! *burp*” Lucky, appoggiato al chiosco, usò uno stuzzicadenti sui suoi canini. “Raga, se questa roba la mettete sul mercato non dovrete preoccuparvi dei soldi, mai più.” Sua sorella si stava pattando la pancia. Lupo sbadigliò, era talmente sazio che poteva addormentarsi lì senza problemi.

“Virgilia,” disse Jack, “credo che potrei andare direttamente ai miei alloggi.”

“Nah,” fece Nina. “Ci stiamo divertendo, e l’ultima cosa che voglio è togliere gli occhi da tutte queste meraviglie. Andiamo, dov’è il tuo senso lupino del sociale, eh?”

“Sparito dopo le prime venti volte che un mannaro ha cercato di scuoiarmi.”

E in quel momento, si udì una specie di esplosione dal bar vicino! Un momento dopo, una figura umana volò attraverso la porta...diretta verso il chiosco.

“Tutti giù!” ruggì Goodness, spostandosi insieme agli altri un secondo prima che il chiosco venisse devastato da quell’involontario missile umano.

Passò un altro paio di secondi nel silenzio generale, prima che Loki emergesse dalle macerie, massaggiandosi la testa. “Ungh...un...martello? Da quando hai un martello, insolente...”

Fenris, ora nella sua forma ibrida dal pelo castano, vestito solo di un perizoma spiovente e un bracciale d’argento al polso sinistro, emerse dal bar. Ghignava. “Padre, ti presento Grimfang,” disse mostrando l’argenteo artefatto la cui testa ricordava, come suggeriva il nome, una zanna. “Grimfang, ti presento padre. E non preoccuparti, non me l’hanno fatto i nani o Surtur. E’ frutto della tecnologia di Midgard. Vuoi che ci faccia un’altra prova?“

Dal locale emersero, tenendosi a rispettosa distanza, i due lupi grigi gemelli, Hathi e Skoll, e il figlio di Fenris, Hoarfen, dal manto di ghiaccio.

Loki si chinò a prendere l’elmo. “Sei folle, se credi che finisca qui, miserabile! Risponderai di quanto—“ fu interrotto da una specie di strano verso a metà tra un ululato e uno squittio.

“SQUEEEE!” E subito dopo un mannaro blu ed uno rosa furono tutti addosso a Fenris.

“Ahh, è ancora più bello di quanto avessi sognato!” disse Lucky, accarezzandogli un braccio. Goodness ansimava mentre cercava una posa adeguata per lo smartphone. Il lupo asgardiano non capiva cosa stesse succedendo.

Fu questione di un minuto, e i due giovani stavano già scattando selfie a raffica, facendo ben mostra di appoggiarsi alla statuaria entità. Presto dalla loro pagina Facebook sarebbe emersa una foto con loro due che lo baciavano sulle guance, destinata a diventare virale e la dicitura. “Noi & il nostro dio preferito JJYYY! Marcela SUCA!”

Stranamente, Loki e la signora Silva mostrarono lo stesso grado di sconforto, mentre le rispettive proli si mostravano più che soddisfatte.

Fenris mise le braccia intorno ai fianchi dei suoi fan. “Adorazione, padre, un concetto che dovresti esplorare. Oppure potresti batterti anche contro i miei adoratori...e dopo l’attacco di Thulsa Doom, non troveresti molti amici.”

A quel punto, Loki vide. E capì.

Erano in tanti. Erano tutti.

Miseri mortali, di fronte a un dio, ma guerrieri pronti a battersi per il loro dio. Guerrieri selvaggi che lo fissavano con aperta ostilità.

E Loki, cosa fece? Rise! “Ahh, figlio mio, ti avevo seriamente sottovalutato! Dunque il tuo culto è davvero cresciuto, sono sinceramente ammirato! Mi inchino!” e fece esattamente quello, un inchino perfetto. “Non che abbia intenzione di dimenticare la tua insolenza, ma per adesso ti sei guadagnato il diritto di restare qui. Ci rivedremo!” E svanì in un lampo di luce.

Fenris si rivolse ai suoi due ammiratori. “Non credo di avervi incontrato fino ad ora. Siete miei fedeli?”

“Siamo appena arrivati,” dissero loro due in sincrono.

“Allora dobbiamo presentarci!” disse una mannara nera, alla testa di un quartetto felice di incontrare i nuovi arrivati. “Coraggio, il nostro Campione deve sbrigare i propri affari.”

I due fratelli uggiolarono tristemente, vedendolo tornare verso i suoi familiari, ma la curiosità riprese subito il sopravvento. “E quei tre sono..?” chiese Lucky.

E cominciarono le spiegazioni, e risalì l’eccitazione, e presto i due giovani dimenticarono qualunque altra cosa al di fuori dei loro nuovi amici...

 

Jack mise una mano sulla spalla di Heavenly. “Coraggio, signora. Credo che non li vedrà fino a stasera tardi.”

Lupo decise di non seguire i due senzapelo e l’ologramma. Non aveva bisogno di una gabbia artificiale. Almeno non ora—

“Salve, straniero,” disse una voce femminile, alla quale seguì un odore a dir poco irresistibile –almeno a giudicare dalla reazione degli altri mannari vicini a lui.

Si voltò, e si trovò di fronte alla più sublime delle visioni, selvaggia e seminuda nel suo bikini lacerato, anche se più vicina nell’aspetto ad un’umana.

Lei gli si avvicinò con fare sicuro. “Finalmente ti incontro, figlio della Terra Selvaggia. Io sono Lupa. Vogliamo conoscerci meglio?”

 

Lykopolis. Popolazione mannara: 175.239

 

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“Cosa posso fare per il Popolo?” chiese il lupo rosso in armatura, entrando nella sala. Come sempre, si muoveva con la sicurezza richiesta dal suo ruolo, con l’economia di movimenti di un guerriero che mai abbassava la guardia. Sir Wulf, nuovo uomo, capobranco del Power Pack.

Nella stanza completamente nuda lo attendevano, vestiti di ampie tonache che li coprivano fino ai piedi, quattro mannari, i più imponenti, i più antichi della specie. Erano i Consiglieri, due femmine e due maschi, maestri di arti mistiche e guerriere, forti di conoscenze ed esperienza millenari. “Capobranco, abbiamo un incarico per te.”

Wulf si mise su un ginocchio. “Servirò al mio meglio, Consiglieri,” disse, a testa bassa. “Di cosa si tratta?”

“Sappiamo dov’è Karnivore.”

Wulf non disse nulla. Non toccava a lui fare domande.

“Si trova in California. E’ molto vicino ad un umano, un Senatore di nome Rex Carpenter. Pensi di sapere perché?”

“Credo che conosciate la Contro-Terra, Consiglieri.”

“La conosciamo.”

“Karnivore possedette il Senatore Rex Carpenter e sotto le sue spoglie divenne Presidente degli Stati Uniti. Usò quel potere principalmente per aizzare l’umanità contro Adam Warlock. Il piano fallì.”

“Credi quindi che voglia fare la stessa cosa? Possedere un politico per i suoi piani?”

“Indubbiamente, Consiglieri. Ma ho dei…dubbi.”

“Alzati ed esprimiti.”

Sir Wulf si mise in piedi. “Il comportamento recente di Karnivore è stato disdicevole, ma aveva dei fini nobili: il furto dei talismani del Serpente era una mossa per sviare l’attenzione del nemico e colpirlo a sorpresa. Si è rivelata decisiva. Per quanto ne sappiamo, se possedendo Carpenter, Karnivore influenzasse positivamente un’importante parte della politica umana nei nostri confronti, ne trarremmo vantaggio. Ha chiuso anche il nostro legame. Se sta agendo da solo, vuol dire che non vuole coinvolgerci. Che riesca o fallisca, è pronto ad accettare le proprie responsabilità.”

Passò un lungo minuto di silenzio, durante il quale il Consiglio esaminò ogni microsegno del linguaggio corporeo, alla ricerca di una menzogna… “Tu ne sei sicuro.”

“Voglio crederlo.”

La Consigliera nera annuì. “Apprezziamo la tua onestà, Sir Wulf. E la tua ipotesi è convincente. Saremo noi a tenere d’occhio il tuo compagno, ma vogliamo che ti tenga pronto: se i suoi piani rappresentassero un pericolo per questo Stato, per la nostra gente…”

La mano del lupo andò sull’elsa della spada. “Lo ucciderò con la mia lama, Consiglieri.”

Quattro assensi. “Molto bene. Ora vai in sala comando: ci sono delle novità…interessanti.”

 

“Capobranco! Stavamo per chiamarti.”

Sala comando. Il cuore tattico della città, tecnologie ancora non inventate altrove per garantire la sicurezza della città, dalle info agli armamenti. Il Grande Fratello avrebbe invidiato questo sistema.

Una sala popolata di specialisti che avevano avuto ognuno più di centoventi anni per addestrarsi, passando di lavoro in lavoro, di identità in identità, carpendo montagne di segreti.

“Sullo schermo,” disse un maschio con un tablet in mano.

Non c’era bisogno del satellite: le torri più alte erano già un occhio nel cielo perfetto per scrutare l’area esterna di Lykopolis.

Sullo schermo, apparve dapprima una fila di puntini nel deserto. Zoomando, divenne una carovana. Una carovana di anime misere, un pugno di muli per più di cento tra uomini, donne e bambini.

“Due serpi in arrivo,” disse il maschio, porgendo il tablet.

Sir Wulf aggrottò la fronte. Elicotteri d’assalto. Neri. Privi di marchio. Privi di IFF. Silenzio radio.

Contractor. “ETA?”

“Distanza di tiro ottimale tra 10 minuti, 23 secondi, signore.”

“Identificazione dei profughi?”

Sullo schermo grande passavano uno dietro l’altro i volti al momento visibili dei profughi, confrontandoli con ogni database criminale esistente. E per ora, l’unica certezza era che si trattava di curdi originari dell’area di Nuova Kalabasha.

“Distanza di tiro ottimale tra 10 minuti.”

Quegli elicotteri avevano armi di gittata sufficiente a colpire alla distanza attuale.

Non attaccavano perché non volevano disperderli. Queste erano pecore al macello. E volevano sterminarle tutte.

“Nove minuti.”

La vera domanda era: prendere una decisione autonomamente che avrebbe inevitabilmente avuto delle pesanti ripercussioni politiche, o lasciare che gli umani regolassero i propri affari? I contractor implicavano una terza parte, un’altra nazione.

“Otto minuti.”

D’altro canto, come potevano decidere di ignorare il resto del mondo quando vi si erano appena aperti? Questa non era una crisi in una terra lontana, stava avvenendo sotto i loro occhi. E quando Thulsa Doom li aveva attaccati, avevano trovato degli alleati…

“Sette minuti.”

Sir Wulf chiuse gli occhi…e quando li riaprì, sedeva alla mensa dei Cavalieri, a Wundagore. Con lui c’era solo Lady Bova, curatrice e nutrice.

“Non c’è bisogno che resti con me, milady. Sono abituato ad essere da solo.”

La mucca lo guardò con quegli occhi dolci e saggi a cui nessun Cavaliere sapeva dire di no. “Non ci si abitua mai ad essere da soli, Wulf. E sei un lupo, sei il più sociale di tutti i Nuovi Uomini. Vivere così dev’essere terribile.”

Lui bevve un sorso di birra. “Non lo sarebbe se l’Uomo-Bestia non avesse gettato fango sulla propria specie. Devo vivere per redimere una fama immeritata ereditata. Devo tenere nascosta la mia natura, coprire il mio odore, alterare la mia voce, usare un altro nome…” sospirò.

E lanciò il boccale di peltro contro la parete con abbastanza forza da accartocciarlo.

Passò un lungo minuto di silenzio, rotto solo dalla pioggia contro la finestra, prima che lei allungasse una tozza mano su quella di lui. “Da quanto non ne parlavi?”

Lui non aveva il coraggio di incontrare quello sguardo benevolo. “Da…sempre. Come posso mostrarmi debole davanti al Creatore? Come posso strisciare davanti a lui facendogli credere di non essere adatto?”

Bova scosse piano la testa. “Sei adatto. Lo provi ogni giorno, Lord Anon.” Il suo sguardo andò all’elmo che copriva completamente la sua testa. Chiuso in una prigione, ogni giorno…

Il lupo si alzò in piedi, l’elmo sottobraccio. “Scusami. Ai Cavalieri serve una guida in battaglia, non un nevrotico.”

Anche Bova si alzò. “Lo diventerai, se continuerai a tenerti tutto dentro. Sono tua amica, Wulf, forse l’unica a cui puoi parlare liberamente. Sono qui per te.”

“Senza offesa, milady,” disse lui andando verso la finestra. La aprì ed uscì sotto la pioggia. La pioggia era vita, diffondeva un odore meraviglioso, era musica che cantava nella foresta. Ricordi di una vita più semplice... “Ma per te è un lavoro. Alla fine di questo colloquio, sarò solo come ogni notte.” Si guardò la mano guantata di metallo. Anche una semplice carezza gli era negata… “Perché dovrei sacrificarmi, Bova? Ecco cosa mi chiedo sempre più spesso. Perché dovrei salvare altre vite a rischio della mia senza altro compenso che una pacca sulla corazza?” Madre Gaia, come voleva ululare, ma non poteva, non doveva.

“Perché è la cosa giusta.” Anche lei uscì nella pioggia.

Lui ridacchiò. “Non soffri di reumatismi, vecchia levatrice?”

“Posso sopportarli, cucciolo sfrontato. E non cambiare discorso, perché sai che ho ragione. Il Creatore non ha dato vita ai Cavalieri di Wundagore per un capriccio: senza di voi, Chthon avrebbe camminato indisturbato nel mondo. Senza di voi, molte vite innocenti sarebbero state perdute. Sono stati i Cavalieri a trovare una giovane donna che diede luce a due grandi eroi. Quindi sì, Sir Wulf, un Cavaliere nasce con uno scopo più grande di lui, con una missione che non ha scelto. Porta su di sé un mantello pesante perché altri possano godere dei frutti del suo lavoro. E troverà la pace interiore sapendolo. E lavorerà ancora più duramente, come fai tu. Sei un esempio, amico mio. E lo sei perché ci credi. E ora torna dentro prima che mi riduca così male da dovermi portare di peso a letto.”

Lui rise di gusto. “Non sia mai detto, signora mia…”

“ETA sei minuti.”

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Gli alloggi riservati ai diplomatici si trovavano all’ultimo piano del più alto edificio. Era davvero come toccare il cielo. Qui si poteva trovare la pace mentre lo sguardo spaziava da ogni finestra su una città viva.

Il comunicatore al polso di Shuri vibrò. Lei sollevò l’arto, e si trovò a dialogare con l’ologramma di W’Kabi, Ministro della Difesa di Wakanda.

“Grazie per la pronta risposta. Hai ricevuto copia del Trattato di Amicizia?”

“Sì. C’è qualcosa che dovrei sapere? La voce ‘mutua assistenza’ è alquanto generica. Nelle condizioni in cui ci troviamo, non possiamo permetterci di sostenere una situazione militare, e la situazione di Lykopolis è molto volatile.”

“Potremmo ritrovarci coinvolti se non li aiutiamo. Anubia non è sciocca: prima di parlare con me, ha fissato un patto con gli Shogun Warriors: tecnologia contro assistenza militare. E se l’Egitto o un qualunque altro paese attaccasse l’SAA, uno solo di quei super-robot spazzerebbe via il suo intero esercito in cinque minuti. Questo provocherebbe un’escalation diplomatica che coinvolgerebbe ogni nazione tecnocratica. Wakanda incluso.

“Abbiamo fissato un protocollo che non compare nel trattato: quando avremo bisogno del loro Power Pack per gestire i nostri problemi…interni, loro risponderanno.”



[1] Marvel Comics Presents #22