MARVELIT Presenta

DARKMERE

Episodio 16 – Nuova Vita, Nuovi Orrori

di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)

 

 

New York. Su questo piano dimensionale

 

Gli ingredienti c’erano tutti.

Fuori, pioveva che Dio (o qualcuno per Lui) la mandava.

Il mio ufficio stava dentro un loft dismesso e quasi nudo.

Dalle due finestre, vedevo le tremolanti insegne al neon di un cinema a luci rosse e di un night club. Percepivo la presenza di un barbone intento a rovistare nel cassettone dei rifiuti del night club, percepivo una coppietta diretta al cinema, e altra fauna assortita di passanti, tutti accomunati dall’appartenere alla condizione sociale minore di questa città.

Stavo godendomi una sigaretta al mentolo, sulla scrivania di mogano c’erano una bottiglia e un bicchiere di whisky mezzo vuoto. E me ne stavo svaccato sulla poltrona, i piedi fasciati da Vero Cuoio italiano (anche i professionisti come me avevano diritto a qualche sciccheria!) appoggiati alla suddetta scrivania.

E allora, perché non si apriva la porta per fare entrare una bionda formosa e disperata alla ricerca della gemella scomparsa e di un nuovo amore, maledizione?!

Il mio occhio cadde sul mucchio di bollette inevase. Fra un mese, si sarebbero aggiunti i solleciti. Fra due, avrei dovuto rinunciare alle comodità moderne –non che fosse un dramma, ma odiavo sprecare energie quando potevo cavarmela affidandomi alla tecnologia moderna. I maghi tradizionalisti, per me, erano dei pazzi.

 

Ah, già: voi pensate che io sia un detective privato, vero? Vero, lo sono: John Lomax, per servirvi. Tariffe modiche, risultati sicuri.

E sono anche un mago. Più o meno.

Sono un tipo incasinato, ad essere veramente onesti:  a vedermi, quanto mi dareste? Fra i trenta ed i quaranta? Vi sorprenderebbe sapere che ne ho dieci? Anch’io ci rimasi male, ma non perché me li porto molto male.

Vedete, tecnicamente parlando, io sono un omuncolo, un costrutto artificiale fabbricato nei laboratori di un alchimista, una variante della ricetta di Paracelso. Mi hanno fabbricato per essere il contenitore ambulante di due demoni. Mi hanno dato una bella riserva di false memorie, e non ho mai sospettato nulla fino a quando un buffone di nome Lothar Archer non mi ha trascinato in un casino che ancora mi perseguita –o almeno, ci prova.

Recentemente, sono riuscito a tornare ad una esistenza più o meno normale. Ancora non mi va giù di essere un pseudo-umano, beninteso. Non mi va di dovere ricominciare la mia vita praticamente da zero, con la strana sensazione di essere allo stesso un bambino ed un adulto. Non mi vanno tante cose, ma tant’è, ognuno ha i suoi problemi.

 

I miei erano di arrivare a fine mese, e mi andava benissimo. Era una cosa normale, da persone vere.

Comunque, la mia porta sarebbe stata sempre aperta per una bella bionda formosa.

Lanciai un’occhiata all’orologio. Quasi mezzanotte: a quest’ora, o mi chiamava la polizia o arrivava un magnaccia intenzionato a scoprire se le sue donne facevano le furbe.

Schiacciai la sigaretta nel posacenere, in mezzo ad un mucchio di mozziconi. A ben pensarci, un vantaggio ad essere un omuncolo c’era: alcol, fumo e caffè a volontà. Potevo apprezzarne i sapori senza preoccuparmi di alcun effetto collaterale. Le sole droghe e veleni che potessero darmi dei problemi dovevano essere fabbricati con ingredienti magici o essere incantati. Idem per le armi, anche se non avevo ancora testato gli effetti di un candelotto di dinamite infilato in gola; per quello avrei aspettato. Mi mancavano un sacco di altri superpoteri, ma uno doveva accontentarsi.

Presi l’impermeabile che tenevo poggiato allo schienale della poltrona, e lo indossai al volo.

 

Chiusi la porta dietro di me. Contemplai la strada davanti a me. Gli edifici di quella zona di Brooklyn erano squallidi, bassi, come tante escrescenze spuntate dall’asfalto. Tante finestre illuminate, qualche negozio aperto qua e là, lampioni che gettavano luci malate contro le spesse gocce di pioggia, trasformandole in piccole comete.

Se mi fossi messo d’impegno come un qualsiasi vigilante mascherato, avrei beccato qualche piccolo criminale con le mani nel sacco, ma ero un detective, non un vigilante. Quelli se ne fregavano della burocrazia dietro ad ogni arresto, non dovevano certo andare a testimoniare in tribunale, e di solito i loro nemici facevano tali casini che neppure Machiavelli in persona li avrebbe fatti assolvere in un’aula di tribunale.

Mi incamminai verso il night club. Se volevo trovare qualche cliente, il Club 80 era il posto migliore a quell’ora e con quel tempaccio.

 

“Il suo nome, prego.”

Guardai il buttafuori come se si fosse trattato di un curioso tipo di animale. “Tu sei nuovo, vero? Che fine ha fatto Dean?”

“Si è sposato,” sentenziò il ragazzone, che aveva tutta l’aria di stare subendo quel lavoro solo per pagarsi la palestra. Quella, o gli anabolizzanti. “Il suo nome, prego.”

“Te ne frega? Visto il traffico di clienti di questi giorni, vi alzo la media dei guadagni. E ora scusami…” Sprecai un po’ di energia per questo trucco, ma che diavolo: anche con Dean dovetti farlo, per fargli capire che con me, nessuno può fare il gradasso, buona fede o no. Così, passai attraverso il corpo di questo buffone, e da lì attraverso la porta. Almeno, sarei andato a dormire pensando alla buffa faccia del buttafuori –tipo fegatoso, devo dire. Dean era svenuto, in quell’occasione…

“John Lomax, maledizione a te. Quante volte ti ho detto di non rifarlo?”

“Solo una, Wayne. E poi, dovevi dirlo al nuovo che sarei passato, prima o poi. Lo sai quanto mi piaccia l’atmosfera calda ed elegante del tuo club.” Oddio, stasera era un tantino un mortorio, e la pista da ballo era praticamente vuota. Le puttane (pardon, intrattenitrici) del locale sedevano ai tavoli fissandosi intorno con aria annoiata.

Wayne Teller, detto ‘Chiacchiera’[i] (ma non diteglielo in faccia). Giovane, entusiasta del suo lavoro, cinico e archivio vivente di informazioni per tutti, buoni e cattivi, democratici e repubblicani, polizia e criminali. Ogni parte sapeva che Chiacchiera spifferava qualcosa di utile all’altra, ma nessuno avrebbe arrestato o sparato alla loro migliore fonte. Wayne era come una banca, toglierla dal gioco avrebbe fatto solo danni. Tutt’al più, uno poteva non andare in questa banca per evitare di dire cose compromettenti. Cioè, uno ci provava a non dirle, ma come si dice, ‘in vino veritas’, e Wayne sapeva come spingere i suoi clienti a varcare il sottile confine fra quattro chiacchiere e il desiderio di confessarsi.

Mi sedetti al banco. “Ne hai ancora di quel beverone dal nome strano?”

Wayne era un patito di Vin Diesel, di conseguenza era altrettanto rasato, altrettanto palestrato, e portava un orecchino ad anello d’oro; e se gli davi problemi, ti avrebbe volentieri infilato un paio di proiettili nel culo. “Per i miei clienti preferiti, il Kelvin c’è sempre.” Si accinse a preparare il drink. “Scusa, ma perché ti sembra un nome strano? Ci sono in giro certi scotch con nomi che richiedono un dizionario per pronunciarli.” Era molto attento a non mostrare alcuno degli ingredienti usati, solo recipienti anonimi e gesti da artigiano.

La radio diffuse le note di Here comes the rain again. Anni ’80, gran musica. “Per me, un alcoolico deve avere un nome da alcoolico e non da scienziato.”

“Infatti, il Kelvin non è un alcoolico. To’.” Depositò lo spesso bicchiere intarsiato sul banco. La roba che c’era dentro, di un profondo colore blu, fumava come un beverone fatto dagli Addams. Presi il bicchiere e ne mandai giù l’unica, generosa sorsata. L’impatto fu a dir poco tremendo! I denti mi si trasformarono in piccoli iceberg e la lingua in un’estensione dell’Antartide. Il gelo prese due strade contemporaneamente, giù per la gola e su per il cervello. Per un paio di secondi, faticai a respirare e a pensare. Poi la roba arrivò allo stomaco, e avvertii un piacevole tepore che neppure un single malt invecchiato fino allo stremo poteva darmi. “Weee,” esalai, estatico. Ogni volta era come la prima, ecco il bello di questa roba.

Se il locale non aveva chiuso, era anche grazie a quel beverone segreto. Wayne disse, “Serata fiacca, eh?”

Annuii, ora perfettamente lucido. “Appena mi becco un cliente danaroso, foss’anche un politico italiano, comincio a farmi una pubblicità come si deve.” Bugia, bugia! Meno male che ero immune anche dal fuoco[ii]. Va bene che dovevo guadagnarmi da vivere, ma non intendevo assolutamente farmi una fama. Nossignori, John Lomax viveva per un profilo basso. John Lomax aveva dei nemici che era davvero meglio tenersi molto lontano! “Non è che tu puoi…” sussurrai.

Wayne non disse una parola. Prese uno straccio e si mise a strofinarlo sul banco –una normale azione per un barman, direte voi. Solo che non c’erano molti barman che, fra un movimento e l’altro del braccio, facevano apparire come per magia un foglietto ripiegato davanti ai loro clienti.

Presi il foglietto e me lo infilai in tasca con un unico movimento veloce. Buon vecchio Chiacchiera, ora gliene dovevo un’altra! Presi il portafoglio e pagai il beverone –cento dollari, ma Dio se ne valeva la pena! “Alla prossima, capo.”

 

Quando uscii, stavolta passai accanto al buttafuori. “Ti donano, i capelli bianchi,” gli dissi, osservando le ciocche brizzolate alle tempie. “Stammi bene.” Gli diedi una pacca sulle spalle. Fu a quel punto che lui smise di fare la bella statuina e svenne. “*tsk* I giovani d’oggi…”

 

Risalire dal numero di telefono scritto sul biglietto all’indirizzo era stata cosa facile.

Inutile aspettare al giorno dopo. Tanto, potevo permettermi di non dormire fino ad una settimana di fila, a meno di affaticarmi seriamente. E stare seduto su un taxi non rientrava nella categoria.

Mentre osservavo la villa che si stagliava alla fine di un lungo viale che sembrava dipinto nel mezzo di un prato all’inglese, mi chiesi con grande curiosità chi diavolo avesse voluto farsi un viaggio da quella dalla zona di Westchester fino ad un club di dubbia reputazione nel lower. Davvero, Chiacchiera aveva una specie di talento soprannaturale per fiutare la gente.

Fosse come fosse, le luci erano tutte spente. La logica suggeriva che, alla una passata, era anche normale. Ma avevo questa dote, sapete… Insomma, percepivo la morte. Se qualcuno era in procinto di fare una brutta fine, o se era morto, lo sentivo come una carezza gelida dentro di me. Non avevo visioni o roba del genere, ma solo perché sceglievo di limitare al massimo la portata di questo macabro ‘sesto senso’. In una città come la Grande Mela, o lo tenevo seriamente sottochiave tranne quando mi serviva per davvero, o sarei impazzito in pochi minuti. Solo una volta, entrando in un condominio per cercare qualcosa che mi riconducesse al cucciolo di una signora cinofila e danarosa, avevo scoperto che la cantina era stata adibita sommariamente ad arena per combattimenti clandestini perché mi ero trovato circondato da una schiera di spettri canini carichi di sentimenti negativi ad un livello indescrivibile. Ecco, in quell’occasione ero stato sul punto di pregare che potessi ubriacarmi. Invidio chi ci riesce, almeno per un po’ si può seppellire il dolore. Io, invece, possiedo una memoria totale, e ci sono così tante cose che vorrei dimenticare…

La ‘sensazione di morte’ era intensa. E dato che i fantasmi erano solitamente legati al luogo della loro fine, se volevo incontrarli dovevo andare dentro… Ah, già. Avrei dovuto anche chiamare la polizia, ma forse era meglio prima trovare qualche indizio utile per me, invece di lottare per gli avanzi…

Un atto di concentrazione, e passai attraverso il cancello.

 

La porta d’ingresso era socchiusa. Mentre la aprivo, un lampo trasformò il buio dell’androne in una scena da incubo.

Deglutii. Che razza di mostro poteva avere fatto un simile massacro? Chiunque fosse la vittima, non avrei potuto certo identificarla dai pezzi sparsi ovunque nella stanza, fra mobili distrutti e spruzzi di sangue ancora fresco che sembravano oscene mani di vernice sulle pareti bianche.

Allungai la mano in una tasca e ne estrassi la torcia. Feci scorrere all’ingiù il cappuccio metallico, rivelando un bulbo cristallino. La accesi, e la stanza fu riempita dalla sua luce; i miei complimenti alla Talon Corporation per questo gadget ed il telefonino Omni.

Una volta ebbi a che fare con una specie di smilodonte che i miei nemici mi avevano lanciato contro. Non fosse stato per l’Uomo Ragno, me la sarei vista bruttina, ma mai quanto questo poveraccio… Ah, eccola lì, la sua testa, cioè la sua metà inferiore, appesa sul lampadario. No, non volevo davvero vedere il suo fantasma isterico supplicarmi di aiutarlo…

Salii le scale. C’era puzza di sangue, urina ed escrementi ovunque. Mi sa che non avrei trovato clienti paganti, qui…

Il corridoio del piano superiore era pulito. Assolutamente lindo e ordinato come ci si sarebbe dovuto aspettare in una villa di lusso. In un certo senso, faceva più paura, così.

Avanzai piano, anche se la torcia faceva luce come fosse giorno. Con l’altra mano, sfiorai la tasca dove tenevo il mio piccolo asso nella manica…

Arrivai ad una porta socchiusa, sulla destra. La aprii, senza neppure uno scricchiolio dei cardini.

Quasi era meglio lo spettacolo del piano di sotto. Se fra adulti ci si poteva ammazzare in modi creativi, come ce la si poteva prendere a quel modo con un bambino? Non doveva avere più di otto anni, e il volto era stata, letteralmente, l’unica zona che l’assassino aveva risparmiato. Il resto del suo corpo, sul quale i brandelli del pigiama erano sparpagliati come tristi coriandoli, era stato letteralmente massacrato. C’erano segni su segni di artigli, un osceno reticolo di ferite inflitte per avere la certezza di un lungo e cosciente dolore. Per questo il volto era stato risparmiato, per fare vedere che la vittima era stata sveglia e lucida fino alla fine.

Ok, era ufficiale: volevo vomitare. Ero davanti alla prova tangibile che nell’umanità c’è qualcosa di irrecuperabile…

MOSTRO!” urlò una voce di donna dietro di me. Ebbi appena il tempo di voltarmi, prima che un pugno mi colpisse al petto. Udii subito dopo il colpo della pistola, ma a quel punto avevo già urtato contro il muro. Poi divenne tutto buio.

 

Quando riaprii gli occhi, me ne pentii immediatamente.

Tenendoli chiusi, mi misi a sedere. Aprii gli occhi, scoprendomi in una sala mortuaria. Avevo ancora gli abiti addosso, ma… Essì, le tasche erano vuote, ma sporgere reclamo non avrebbe avuto molto senso: a tutti i sensi ed effetti della biologia, ero morto, mica mi potevo aspettare un trattamento di favore. Meno male che, dal punto di vista del coroner, non c’era fretta di farmi l’autopsia vista la chiara causa di morte –sai che casino a riparare una grossa cicatrice ad Y, fra le altre cose.

Mi diedi un’occhiata al petto. Il buco del proiettile era già guarito, ma adesso dovevo comprarmi un nuovo completo e impermeabile.

Una donna urlò! Mi voltai di scatto, in tempo per vedere l’assistente del coroner andare giù come un soufflé.

Scesi dal lettino e andai ad aiutare la poveretta, ma proprio mentre la prendevo sotto le braccia, arrivò il coroner. Fu quello un lungo momento di silenzio, durante il quale il medico fissò attentamente me e la mia ferita, prima di scuotere la testa, rassegnato. “Solo a New York, maledizione…” Si chinò ad aiutarmi a prendere la povera assistente. “Uscito di qui, gira a destra, procedi lungo il corridoio fino alla seconda porta a sinistra. Lì c’è il magazzino dei reperti, dove ho consegnato la tua roba. E per favore, un’altra volta cercate di riprendervi in ambulanza: hai un’idea di quante scartoffie andranno annullate, ora?”

“Farò più attenzione, promesso,” dissi io, uscendo.

 

Lomax!

Neanche il Capitano Williams sembrò felice di vedermi vivo e vegeto. Dall’altra parte del bancone, la povera recluta assegnata a quel turno infernale era un po’ pallida, ma me lo aveva detto fra una balbuzie e l’altra che si era trasferita da poco dal Vermont.

Mi voltai a salutare l’ufficiale. “Williams! Anche io sono felice di vederla, signore.”

Williams mi fissò sperando che mi dissolvessi. “Lomax, voglio solo sapere che gusto ci provi a tormentare una poveraccia che ha appena perso il figlio ad opera di un macellaio. Non sarò neppure così idiota da accusare te del delitto, visto che per fare quel macello, saresti dovuto essere coperto di sangue dalla testa ai piedi, e comunque tu non saresti stato così fesso da restare su una simile scena del crimine.” Si avvicinò al bancone, e al giovane poliziotto ringhiò, “Prendi la sua roba, Tim, che aspetti?!” E a me, “Poi andiamo nel mio ufficio. Ho già avvertito la signora Burton che non deve più preoccuparsi di averti ucciso.”

 

“Non ti fare illusioni,” mi disse Williams, torvo, mentre chiudeva la porta dietro di sé. “Se questo non fosse un caso assolutamente folle, mi assicurerei di tenerti dentro per quella tua violazione di domicilio. Ma i colleghi degli altri distretti mi hanno detto che con certi…casi, tu ci sguazzi bene.”

“Me la cavo,” dissi io, sedendomi.

Lui andò a preparare il caffè e due tazze. “Personalmente, non condivido l’ipocrisia di alcuni capitani, che con i super adottano la politica dell’’usarli ma non lodarli’. Se si ricorre a dei ciarlatani che si spacciano per medium, io mio posso avvalere di un investigatore dell’occulto, giusto?”

“Immagino di sì.” Accettai la tazza di caffè, sperando che non fosse una pessima miscela economica tutta caffeina. Un sorso confermò i miei timori. “Anche se non sono propriamente un mago di quelli…”

Williams bevve il suo caffè. “Risparmiami i discorsi. Cosa hai appreso dalla scena del crimine? A proposito, grazie per non averla inquinata.”

“Di niente. Ad ogni modo, non ho appreso niente di più dei vostri uomini. Non ho mai e poi mai visto una simile ferocia unita ad una simile metodicità. Quel povero bambino è morto urlando. L’uomo al piano di sotto…”

“Il maggiordomo.”

“Be’, lui è stato trattato come…un ostacolo da rimuovere in fretta. Sicuro, il mostro ci ha dato dentro, ma lo ha fatto in fretta, come se avesse avuto quattro braccia tutte armate di machete. Cosa dice la madre? Ci sono dei complici?” Domanda retorica, visto che un uomo da solo non…

“No.”

Odio il lunedì.

Williams finì il caffè con una lunga sorsata. “La signora Burton ha detto di essere stata svegliata all’improvviso dalle urla di suo figlio. A quel punto non sapeva nulla del maggiordomo, ne’ le importava qualcosa.” Consultò rapidamente una copia della deposizione. “Dice di non avere visto l’assassino, ma ha visto il figlio che si agitava sul letto, come, cito ‘se volesse liberarsi da delle catene’. Le ferite sono apparse spontaneamente, una dopo l’altra…” scosse la testa. “Un mutante, o tu hai altre idee?”

“I Burton avevano nemici?”

“Lei no. Forse il padre, ma non è rintracciabile da più di un anno, ormai. Lavorava per il governo, ma ogni tentativo di risalire a lui si è finora scontrato contro un muro di gomma.”

“Deve essere stato un lavoro molto sporco, se questo casino era una forma di vendetta.”

Williams annuì. “Quando lavoravo a Brooklyn, ne ho viste di schifezze, ma questa è roba da psicopatici totali. Quasi quasi, spero che sia un maledetto copycat.”

Campanello d’allarme! “Un..?”

Williams sospirò. “Già, ma dove ho la testa? È per questo, alla fine, che ti ho chiamato.” Prese dal file una delle foto della scientifica. Me la allungò.

Era una foto della schiena del bambino, presa dal coroner. In qualche modo, le ferite, ora che erano state lavate, apparivano più ripugnanti contro la carne dissanguata.

E le incisioni, fatte evidentemente con delle lame molto affilate, su quella zona formavano una scritta… “Cazzo.”

“Lo hai riconosciuto?”

Eccome, capo! Di serial killer me ne intendevo da prima di trovarmi coinvolto nei casini del Darkmere. E fra tutti, ce n’era uno che era una maledetta leggenda… L’autore di questa firma! “Forse è proprio un mutante con il potere dell’invisibilità, un copycat.”

“Già, ma prima di diramare mandati di cattura a carico di ignoti, devo essere sicuro di non scatenare un putiferio. Appena avrò consegnato la relazione al Procuratore, ci penserà lui a contattare i rappresentanti dei diritti civili. Nel frattempo, tu vedi cosa puoi fare dal tuo lato di questa follia.”

Fissai quell’uomo con una certa curiosità. “Capisco l’apertura mentale, Capitano, ma non pensavo che lei credesse a queste leggende.”

Qualcosa si agitò negli occhi grigi di quell’uomo di mezza età. Qualcosa di brutto, un fantasma di terrori mai sopiti. “Io vengo da . Avevo venti anni, quando i miei genitori si decisero a portarmi via. Loro avevano capito, alla fine, ma tutti i miei amici nel frattempo erano morti. Io me l’ero cavata…” si sbottonò la manica sinistra, e se la arrotolò lentamente.

Il braccio era una collezione di cicatrici da bruciature. Se la mia esperienza contava qualcosa, le più vecchie erano quelle delle dimensioni di un nichelino. Poi c’erano quelle irregolari, più ampie, come se si fosse umettato a suo tempo il braccio con la benzina prima di darle fuoco.

“Ho passato anni a convincermi di essermi immaginato tutto. Non ho mai aperto un giornale o una pagina web su quel posto, non volevo ricordare. Fino a stanotte.

“Lomax, io non posso appoggiarti apertamente ne’ ufficiosamente. Anche perché se è quello che temiamo, non c’è poliziotto che possa effettuare un arresto, con tutta la buona volontà. Tu limitati a restare a disposizione, in fondo sei un testimone e tutte queste balle qui. Piuttosto,” aggiunse come a ricordarsi di un dettaglio distrattamente messo da parte. “Era stato il maggiordomo, a chiamarti?”

“Chiacchiera mi aveva detto che quel tipo mi cercava, ma senza entrare in dettagli. Con me avevo solo il numero di telefono.” Mi alzai in piedi. “Farò quello che posso, capo. Spero che basti una notte. Piuttosto, cercate di farmi sapere quanto più possibile sul signor Burton. La madre cos’altro può dirci?”

“È un miracolo che abbia fatto quella deposizione. Subito dopo è andata in una specie di stato vegetativo, e il medico l’ha sedata pesantemente. Avvicinarsi a lei è per ora verboten. Chiamerò l’ospedale ogni dieci minuti per sapere se è viva.”

Uscii. Ripensai ai casi più difficili che avessi avuto da quando avevo scoperto di essere quello che sono. Uno era per un padre di famiglia violento che si era fatto possedere da uno spirito maligno, un altro riguardava una setta di satanisti che aveva evocato un demone molto irritabile e senza la necessaria conoscenza per controllarlo.

Ma ripensai alla foto del bambino. A quello che c’era scritto sul suo corpo.

Stavolta era roba davvero seria, e mi serviva aiuto, o ero fottuto. Ma dovevo fare qualcosa, da solo o in compagnia, o il mostro si sarebbe scatenato su un’intera città.

Un mostro che aveva lasciato la sua firma per fare capire chi aveva il coltello dalla parte del manico. Una creatura che la morte non aveva fermato, ma anzi aveva reso infinitamente peggiore.

Freddy è tornato!

 

 

NOTA DALL’AUTORE: Era da tempo che volevo realizzare un blocco di storie featuring John Lomax, il singolare detective creato dal nostro Pablo anni addietro. Come dite? Dov’è il Darkmere, che con Lomax è strettamente legato? Ci arriveremo, ci arriveremo. Per ora, godetevi l’intrusione, nella nostra continuity, del solo ed unico assassino dei sogni, del bastardo più cattivo e più conosciuto di Babbo Natale, Freddy Kruger! E nel prossimo numero, saranno sogni amari! J



[i] ‘Chiacchiera’: in inglese ‘Telltale’

[ii] I bambini americani recitano ‘Liar liar, pants on fire!’