2003

by Pablo

 

[Questa storia si svolge tra Gauntlet #65 e #66 e dopo Darkmere #11]

New York.
In un vicoletto nel quartiere di Brooklyn alcuni barboni stavano discutendo sulla loro condizione di vita.
- Sono esterefatto! - esclamò il più giovane di loro, Boots - Suor Lucinda ha detto che non vuole più vedermi al convitto!
Gli altri due, l'anziano Cog e il quarantenne Lobo risero di gusto.
- Hai cercato di sollevarle ancora il vestito? - commentò il secondo - Non sai che loro hanno fato voto di castità?
- Avranno fatto voto di castità - rispose burbero Boots - ma suor Lucinda prima di diventare un'ancella del Signore faceva film porno!
Gli altri due sgranarono gli occhi, mentre Boots sorrideva beato della rivelazione appena fatta. Ma in quel momento l'aria attorno a loro cominciò a scoppiettare in bolle luminescenti, fino a generare un enorme lampo di luce. I barboni si coprirono gli occhi finchè, dopo qualche interminabile secondo, la luce cessò e lascio il posto ad un uomo accasciato a terra, privo di sensi.
I tre barboni dapprima si guardarono impauriti tra loro: avevano ancora in mente gli ultimi eventi, quando dapprima i marziani e poi i demoni avevano invaso la terra, e quindi non si sentivano ancora al sicuro.
Boots cercò di avvicinarsi, ma gli altri lo fermarono.
- Potrebbe essere un super criminale, o avere qualche virus alieno! - gli disse Cog - Una volta conoscevo uno...
Boots lo interruppe con un gesto secco della mano.
- Come puoi dire che è pericoloso?
- Certamente non è normale! - disse Lobo - Guardagli il palmo della mano destra.
La mano era leggermente piegata, e al centro del palmo era possibile vedere una gemma nera perfettamente incastrata nella pelle.
Boots li allontanò.
- Mica noi siamo messi tanto meglio! - esclamò sorridendo, rivolgendosi agli altri due - Voi vi ritenete normali?
- No, beh, però...
- Però che? Certo non siamo mutanti, ne giriamo con delle strane gemme incastrate nel palmo della mano, ma mica siamo tanto
normali se abbiamo abbandonato le nostre famiglie, il nostro lavoro e le nostre certezze per diventare barboni.
- Parla per te, - lo aggredì Cog - io il lavoro l'ho perso, non ho mai avuto una famiglia, quindi per ora questa è la mia unica certezza!
Boots e Lobo lo fissarono con un leggero sorriso su un angolo della bocca, che per Cog non necessitava di alcuna spiegazione.
- Ok, ok! - ammise ritirandosi - Questo certamente non mi qualifica tra le persone normali!
In quel momento la persona apparsa nel vicolo diede un segno di risveglio, lamentandosi leggermente.
- Ouch! - esclamò.
Boots gli si avvicinò.
- Ti senti bene?
Jonnhy Corso alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi, per poi spostare la vista prima sui due suoi compagni e poi sul luogo.
- Dove mi trovo? - disse preoccupato.
- A New York! - risposero i tre in coro.
Jonnhy sgranò gli occhi.
- OH MERDA! - urlò, alzandosi di scatto.
- Che è successo? - si incuriosì Cog.
- Maledizione, non ricordo cosa è successo prima di trovarmi qui! Ricordo un fiume nero, un traghettatore, ma null'altro...
Poi si girò verso i tre barboni.
- Devo andare! - e si allontanò verso la strada.
I tre si fissarono, poi contemporaneamente avvicinarono l'indice della mano destra alla tempia corrispettiva e picchiettarono quattro/cinque volte contro di essa, ritmicamente.

"Mi chiamo Jonnhy Corso, sono un investigatore privato, ma ho anche un altro ruolo importante, ovvero sono il custode del Guanto. Il Guanto è un oggetto magico che ho avuto la sfortuna di indossare diverso tempo fa, e che è stato causa di moltissimi guai che mi sono capitati, come la fuoriuscita dalla gemma di un demone, chiamato l'Avversario, lo scontro con i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse, la scoperta che il mio braccio tagliato è diventato il mio clone mistico, i diversi scontri con Roman. Insomma, la mia vita non è stata semplice negli ultimi tempi, se aggiungo anche che mia madre e mia sorella mi bazzicano ancora attorno, e che la mia ragazza mi ha mollato dopo avermi visto baciare una strega vecchia di secoli che, tra parentesi, era anche la sorella gemella di Roman, tanto per capire che razza di famiglia sia quella. Insomma, sto messo benino, e adesso chissà dove mi trovo."

Altrove, in un'altra dimensione, un piccolo figuro verde e ingobbito sta osservando con rabbia dentro una sfera mistica. Le sue mani tentano, in maniera istintiva, di afferrare ciò che vedono.
- Maledizione! Ecco il mio obiettivo, l'unico modo affinchè possa ritornare nella Realtà Prima e abbandonare questa terribile prigione e questo orrendo corpo.
Recitò dei mantra sottovoce, finchè la sfera non brillò intensamente, per poi ritornare all'immagine precedente. Sorrise.
- E' giunta l'ora di saggiare il terreno.

In quel momento, sulla cima di un grattacialo di Manhattan, John Lomax afferrò da dentro la tasca la piccola Sfera Oscura che Strange gli aveva dato. Se fermò un attimo a pensare sul perchè Strange l'avesse chiamata in quel modo, visto che la sua forma cambiava in continuazione, senza mai diventare una sfera; si rispose dicendo che la sfera altro non era che un insieme infinito di facce, e che quindi racchiudeva idealmente tutte le forme che lui vedeva. La fece levitare fra i due palmi delle mani posti verticalmente, e lentamente l'energia cominciò a fluire attorno ad essa. Fece scivolare i suoi sensi, entrando in sintonia con il flusso mistico che la sfera e il suo corpo stavano generando. Improvvisamente qualcosa turbò i suoi sensi, sentì le energie sfuggire al suo controllo, epsandersi per poi venire riassorbite nello stesso istante.
- Una strana forma di energia è qui, a New York. Sento che è entrata in risonanza con la mia energia, e questo può significare una sola cosa, da quello che ho capito: che il suo potere deriva dal Darkmere, come il mio.
Infilò la sfera nella tasca e, quasi senza rendersene conto, si lanciò dal palazzo, svanendo in una nuvola di fumo nero pochi istanti dopo il salto.

Jonnhy fissò stupito il mondo che lo circondava. Non era decisamente la sua New York quella. Vide esseri dai costumi sgiargianti solcare il cielo della città. Uno era vestito di una strana tuta rossa e blu, e lanciava ragnatele come un ragno per saltare da un palazzo ad un altro. Un altro volava dentro un'armatura d'acciaio. Uno invece solcava i cieli con una tuta adamitica tutta d'argento, su una tavola da surf, anch'essa d'argento.

"Dio mio, è l'esaltazione del kitch questa!"

John Lomax poggiò la sua mano sulla spalla di Jonnhy.
- Chi sei tu? - chiese.
Jonnhy non perse tempo con le presentazioni, che fece partire dal Guanto una raffica di energia che scagliò Lomax in alto nel cielo.
- Oh merda, se inizio a trattare così gli indigeni, finirò nel pentolone!
Senta rendersene conto, si ritrovò teletrasportato su un palazzo, dove ad aspettarlo c'era proprio John Lomax, l'uomo che aveva scagliato in aria.
- Mi hai colto di sorpresa, ma non succederà più! - disse John Lomax - Ora dimmi perchè sei uscito dal Darkmere!
- Dal Darkche? Credo che ti mi stia confondendo con un altro!
- BUGIARDO! - urlo Lomax, colpendolo con una scarica di energia, che colpì Jonnhy facendolo finire sul bordo del palazzo, ad oltre 400 metri dal suolo.
- Ma sei pazzo? - imprecò Jonnhy, cercando di tenersi in equilibrio sul bordo agitando le braccia - Io non so nulla di quel Dar-che che dicevi tu, non appartengo neppure a questo universo.
- Appunto! - disse Lomax.

"Ho come la sensazione di aver dato la risposta sbagliata!"

Lomax si preparò a dare il colpo di grazia a Jonnhy, quando il Sole si oscurò, e un gigantesco drago scheletrico apparve su di lui. Jonnhy, riuscendo finalmente a recuperare l'equilibrio, fissò sbalordito l'orrenda creatura.
- Per la miseria, ecco a voi il drago zombie di Dungeons & Dragons!!!
Non appena finì la frase, il drago lancio un urlo stridulo, per poi far partire una scarica di energia dalla sua bocca, colpendo in pieno John Lomax e scaraventandolo verso Jonnhy.
- Oh no!!!! - imprecò Jonnhy, mentre dal suo braccio si formò una sorta di barriera che protesse lui dall'impatto e bloccò il volo di Lomax.
Quest'ultimo si rialzò, ancora perfettamente intatto e abbastanza lucido, e puntò il suo sguardo verso l'enorme drago che solcava il cielo, pronto ad attaccarlo di nuovo.
- Ora le cose sono due: o ho due nemici, di uno dei quali ignoro l'identità, oppure ti devo delle scuse. - disse rivolto a Jonnhy.
- Propenderei per la seconda.
- Facciamo una cosa. Visto che non sei del tutto indifeso, e visto che ti trovi tuo malgrado nella mia stessa situazione, sarebbe gradita una tua mano.
Jonnhy sorrise e allargò le braccia.
- Sono qui per questo!
In quel momento il drago si fermò per un attimo, per poi scagliare un nuovo attacco energentico. Questa volta i due bersagli non si fecero trovare impreparati, e mentre Jonnhy approntava grazie ai poteri del Guanto un rinnovato scudo che li proteggesse, John Lomax fece partire dalle punta delle sue dita dei fasci di energia nera, che come tentacoli cercarono di stringere il drago, ma si dissolsero a pochi metri da esso, mentre la barriera veniva messa a dura prova dal fascio di energia.
- Maledizione! Sembra invulnerabile... - imprecò John.
Jonnhy scosse il capo.
- Ho imparato che non esiste nulla di invulnerabile! Dividiamoci, dopotutto tu mi sembri abbastanza invulnerabile!
John si fermò a riflettere per un attimo su questa faccenda, cercando una risposta a questo suo nuovo potere, e l'unica plausibile che riuscì a darsi puntava dritto verso la Sfera Oscura.
- Ok, si può fare! - esclamò John, correndo lungo il lato destro del drago, mentre il suo compagno di disavventura correva lungo il lato sinistro.
Il drago sembrò spiazzato da questa cosa, tanto da rimanere in bambola per qualche secondo, dando a Jonnhy il tempo di usare il potere del Guanto, facendo partire una scarica di energia bianca, che colpì in pieno il drago, facendolo vacillare e urlare per il dolore.
- Che cosa gli hai fatto? - gli urlò John, stupito.
- Semplice, la mia arma magica è in grado di generare energia legata alle forze basi naturali e mistiche. Unendo questo alle vecchie partite di Dungeons & Dragons, ho pensato di usare contro il drago il potere del sacro.
- Interessante... ma cos'è Dungeons & Dragons?
Il drago urlò, puntando il suo sguardo verso Jonnhy Corso.
- Lascia perdere, ora vuole me!
Il drago si lancio in picchiata, quando un vortice di energia oscura lo colpì alle spalle, travolgendolo. Le ossa scricchiolarono in maniera grottesca, ma alla finire il vortice si dissolse e il drago era ancora intatto. Si voltò verso John.
- Ora vuole te! - disse Jonnhy.
Il drago si rialzò rapidamente in volo, fin quasi a scomparire alla vista, per poi riscagliarsi a rapida velocità contro i due uomini sul palazzo, scagliando nel frattempo scariche di energia. Jonnhy fissò la gemma nera incastrata sul palmo della mano.
- Merda, vedi cosa mi tocca rifare!
- Che stai facendo? - urlò John Lomax.
Jonnhy si concentrò, lasciando fluire attorno a se scariche di energia mistica. Poi alzò il suo braccio dentro verso il drago, e in pochi secondi si generò un vortice nero che si allungò verso il drago in picchiata. L'istante successivo, precedute da un rumore terribile e assordante, quattro figure irriconoscibili percorrevano il vortice, colpendo in pieno il drago e distruggendolo, per poi venire riassorbite dalla gemma nera.
- Cos'erano?
- Se te lo dico non ci crederesti.

"Già! Sembra facile dire in giro: ciao, ho i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse prigionieri nel palmo della mia mano, e li ho usati già una volta contro Roman e Aruman. Certo, ci crederebbero tutti, specialmente quelli della neuro."

John Lomax gli si avvicinò.
- Comunque ti devo ringraziare per avermi salvato la vita.
Gli porse la mano, ma mentre Jonnhy stava per stringergliela, svanì nel nulla.
- Ma che fine ha fatto?
John Lomax si guardò attorno, stordito e confuso da quella sparizione, mentre altrove un piccolo figuro verde e ingobbito malediva la sua sfortuna e preparava un nuovo piano per raggiungere il suo obiettivo.


Twilight... il crepuscolo... ogni giorno, la lotta eterna del sole contro il corso inevitabile del tempo... quando nella volta celesta il sole si accinge a perire, ma si rifiuta di accettare questo suo destino e allora, con tutte le sue forze, cerca di trattenersi al cielo, allungando i suoi raggi, chiazzando di striature rosse l'azzurro... è una lotta impari, il sole sa di essere condannato al tramonto... tuttavia, ogni giorno, lotta lo stesso...


Come with Me In The Twilight For A While
un racconto del Darkmere di Xel aka Joji, per gentile concessione di Pablo

Giunse nella sua vita come un fulmine a ciel sereno: dall'alto.
Precipitò in quella stanzetta buia, dove aveva trascorso tutta la sua esistenza, agghindata come una bambola e seduta su quello scranno di pregiata fattura.
Non ricordava da quanto tempo stava lì dentro, era passato così tanto che non pensava di aver avuto altra vita al di fuori della stanza buia.
L'aveva chiusa lì, dicendo che un giorno sarebbe servita, ma quel giorno era ancora lontana, quindi non potevano permettere che si rompesse...
"Rompesse..." proprio questa parola avevano usato, come se fosse stata una bambola: ma forse era questo che era per loro, un oggetto senz'anima da usare solo per i loro scopi.
"Ouch..." esclamò la ragazza appena caduta dall'alto, mentre un tegola le finiva dritta sulla testa.
"Scusa per il casino!" aggiunse rialzandosi, ma lei si era già nascosta dietro il suo trono.
"Hei, che c'è hai paura di me? Guarda che non mordo!" fece avvicinandosi.
Lei si ritrasse ancora di più dietro lo scranno, chiudendo gli occhi; non aveva paura della nuova venuta, era la luce che entrava dal buco nel soffitto ad infastidirla...
Viveva nel buio da così tanto tempo, che non ricordava più cosa fosse la luce.
L'avevano chiusa al buio per preservarla dal suo stesso potere: aveva una vista perfetta, con il suo sguardo poteva afferrare ogni minimo particolare le passasse davanti agli occhi, dai grani di forfora tra i capelli di una persona, al numero di macchie sulla pelliccia di un giaguaro...
Quando si sviluppò in lei questo potere, un'overdose di informazioni le sovraccaricò il cervello e finì in coma per alcuni mesi.
E adesso, mentre i raggi di luce invadevano la soffitta, i suoi occhi cominciavano a distinguere i minimi particolari di quell'ambiente: il vorticare di ogni singolo pulviscolo sollevato dalla caduta, il fremere delle venature sul legno del pavimento, l'oscillare dei distinti peli del tappeto...
Si pose le mani davanti agli occhi, sentendo la testa iniziare a girarle vorticosamente.
"Cos'hai?" le chiese la ragazza "Forse ti da fastidio la luce? Metti questi.."
Si tolse gli occhiali da sole che inforcava e glieli poggiò sul naso.
Aprì gli occhi e tirò un sospiro di sollievo: le lenti scure, stemperavano il suo potere, la sua vista era ancora più precisa rispetto ad una normale, ma la gamma di particolari che percepiva era stata drasticamente ridimensionata.
"Ora va meglio?" chiese la ragazza.
Si voltò a guardarla: aveva i capelli biondo chiaro, ma in realtà era stati da poco tinti, lo vedeva chiaramente dalle radici castane; aveva gli occhi verdi con lunghe ciglia, non molto curate visto che due erano spezzate; le sue labbra era grandi e carnose, nonché colme di screpolature; indossava una maglia con su dipinta una bandiera, un paio di pantaloncini a mezza gambe e una giacchetta di pelle, nella cui tasca, a giudicare da un lieve rigonfiamento, teneva qualcosa di rotondo.
"beh, cos'hai da fissare?" chiese.
"N... niente..."
"Su, non stare lì nell'ombra..." l'afferrò per la mano e la trascinò sotto la luce "Oh.. ma che carina che sei.. sembri una bambola."
Non aveva mai avuto modo di vedersi da quando viveva lì, si guardò in un grosso specchio nell'angolo della soffitta e quello che vide fu una ragazza dalla pelle pallida con una cascata di ricci biondi che le calavano sulle spalle e con indosso un vestito pieno di pizzi e trini.
"Come ti chiami?" le chiese la ragazza piombata dal cielo.
Ci pensò su un attimo "Non ho un nome."
"Figo... io sono Rose... Come mai stavi tutta chiusa qui al buio?"
"Mi hanno chiuso qui. Non volevano che mi rompessi, perché in futuro gli servirò."
"Che idiozia! E' una vergogna che una ragazza bella come te resti ad appassire al buio!" Rose la prese tra le braccia e con un salto uscì fuori dal buco del soffitto.
La prima cosa che la colpì fu la sferzata d'aria fresca che gli colpì il volto.
Subito dopo furono i colori.
Dopo tutto quel tempo passato al buio, quasi aveva dimenticato i colori e anche se quello che le si prospettava davanti era il grigio panorama di una città industrializzata, non poté non sentire gli occhi bruciare nel rivedere per la prima volta tutte quelle sfumature di blu, marrone, verde...
"E'... bellissimo...."
Rose sorrise "Sono felice che ti piaccia... però non possiamo restare qui. Mi staranno ancora cercando."
"Cercando chi?" chiese, mentre Rose, continuando a tenerla tra le braccia, iniziava a correre saltando sui tetti.
"Ho rubato una cosina al Circolo dei Grifoni... e per questo vogliono la mia testa..."
"Cos'è il circolo dei grifoni?"
"Sono quelli che si occupano di mantenere l'ordine nel Darkmere..."
"Cos'è il Darkmere?"
"Da quanto tempo sei chiusa lì dentro?" ridacchiò Rose.
"Tanto... troppo..." mormorò stringendosi alla ragazza.
Dopo una breve corsa sui tetti, giunsero su un palazzo abbandonato.
Rose la fece scendere e la prese per mano "Seguimi, ti presento ai miei amici!"
Scesero per le scale antincendio, fino ad una finestrella aperta su una stanza arredata con vecchi mobili sfasciati.
Rose la precedete e poi la aiutò ad entrare.
Nella stanza vi erano altri tre persone: un ragazzo sui vent'anni, dai capelli neri rasati, una ragazzina coi capelli biondo scuro e un uomo sulla trentina, con pizzetto e lunghi capelli castani raccolti in un codino.
"Hei ragazzi! Questa è una mia amica! Loro sono Colin, Sheila, e il big Boss, Bartolomeo."
"Piacere di conoscerti!" fece Colin venendo avanti e stringendole la mano.
"Pi.. Piacere mio" rispose.
"Non dovevi portare nessuno!" esclamò Sheila alzandosi in piedi, lasciandosi poi ricadere sul divano.
"In effetti è pericoloso, Rose... se lavorasse per il Circolo dei Grifoni..."
"Na! E' pulita! Era tenuta prigioniera in una soffitta!"
Bartolomeo la guardò per qualche secondo e poi le poggiò una mano sulla spalla "Mi voglio fidare..." poi si rivolse a Rose "L'hai presa?"
"Certo!" Rose si infilò una mano in tasca, frugò per un po' e poi tirò fuori una sfera di pietra, su cui erano presenti numerosi incisioni.
"Cos'è?" chiese guardandola incuriosita.
"La chiave dell'abisso..." mormorò Bartolomeo prendendola in mano e osservandola con occhi ammirati "Un artefatto mistico di immenso valore che permette di viaggiare attraverso le dimensioni. E nel nostro caso ci permetterà di abbandonare il Darkmere..."
"Cos'è il Darkmere?" chiese.
Rose le carezzò la nuca "Il Darkmere... è il mondo dove siamo in questo momento... un sottile strato tra due dimensioni distinte..."
"Un mondo, dove noi non vogliamo restare..." disse Bartolomeo.
"E' una pazzia!" Sheila si alzò in piedi stringendo i pugni "Lo sapete che il Circolo Dei Grifoni modera i passaggi da o in questa dimensione e ogni passaggio non autorizzato viene severamente punito!"
"Sapevi cosa rischiavi quando ti sei unita a noi..." le fece notare Colin.
"Si, ma io.. pensavo che non ci saremmo riusciti.. che avremmo rinunciato prima..."
"E invece ora siamo ad un passo.. Con la chiave rubata ai Grifoni, possiamo compiere il rituale questa notte stesse." Gli occhi di Bartolomeo sembravano brillare "Abbandoneremo l'oblio del Darkmere e inizieremo delle nuove vite..."
"E tu.. ragazzina senza nome... perché non vieni con noi?" le sussurrò Rose.
"Venire con voi... ma io..." prima che potesse pensarci, Rose la prese per mano e la trascinò nella camera accanto "Vado a sistemare le mie cose! Ci vediamo più tardi!".
La stanza in cui era stata portata, aveva le pareti tappezzate di poster di musicisti, le scritte più frequenti erano "Megadeth", "K'sChoice" e "Iron Maiden", su ognuno di essi stava attecchendo la muffe delle pareti
Vi era un grosso armadio con degli specchi sulle ante, le quali ante pendevano pericolosamente a causa delle viti parzialmente svitate, e un materasso pieno di cuscini colorati, le cui cuciture cominciavano a cedere, era buttato in un angolo.
"Allora, che te ne pare della mia stanza?" chiese Rose allargando le braccia.
"Meglio della mia senza dubbio." Fu tutto quello che riuscì a rispondere.
"Ehi, mica male questa!" ridacchiò Rose, poi indicò l'armadio "Devo fare i bagagli, mi aiuti?"
"Si, c... certo.." rispose, mentre Rose le passava uno zaino.
Continuarono a chiacchierare, mentre Rose piegava gli abiti e li porgeva a lei, che li poneva nello zaino.
"Hai tanti bei vestiti..." constatò.
"Belli? Ah! Sono solo straccetti..."
"Io non ho niente oltre quello che ho indosso..."
"Beh, se vorrai, ti presterò qualcosa io!"
"Lo faresti?"
"Certo..."
"E... perché?"
Rose le passò l'ultima maglietta, che riempì completamente lo zaino, poi si sedette sul letto e le fece cenno di imitarla.
"Vedi, quando ti ho trovato in quella soffitta, prigioniera... ti ho visto simile a me..." mentre parlava teneva gli occhi fissi verso la finestra "Anche io sono prigioniera... prigioniera del Darkmere... voglio essere libera di potermi muovere senza limitazioni... per questo ti ho portato fuori dalle soffitta..."
"E per questo, mi hai proposto di abbandonare il Darkmere?" chiese.
"Già... capisco che per te possa essere un cambiamento sconvolgente e se rifiuterai ti capirò, ma..."
"Io mi sono sempre chiesta, fino a quando sarei rimasta chiusa lì dentro. Nei primi tempi, provai a scappare alcune volte, ma ogni tentativo finiva sul nascere e così vi rinunciai...E rimasi lì per anni... Ad Attendere... fino a quando non sei arrivata tu. E adesso, che respiro l'aria aperta solo da qualche ora... Ho tanta paura di essere rinchiusa di Nuovo."
"In quel caso, sarà il tuo crepuscolo?"
"Il mio che...?"
Rose la prese per mano e la portò con se fino alla finestra, indicandole il sole che stava tramontando.
"Il crepuscolo è questo, la lotta eterna del sole contro il corso inevitabile del tempo... quando nella volta celesta si accinge a perire, ma si rifiuta di accettare questo suo destino e allora, con tutte le sue forze, cerca di trattenersi al cielo, allungando i suoi raggi, chiazzando di striature rosse l'azzurro... è una lotta impari, il sole sa di essere condannato al tramonto... tuttavia, ogni giorno, lotta lo stesso... perché sa che l'indomani sorgerà di nuovo, e di nuovo lotterà per restare in vita... questo è il crepuscolo, i colori dell'estinguersi del sole, che sono gli stessi di del suo nascere...crepuscolo... Twilight. Potrei chiamarti così, Twilight. Ti piacerebbe?"
La guardò con occhi luccicanti, stringendole la mano con forza "Si.. mi piacerebbe."
"Anche se ci fossero dei problemi, non ti dovrai arrendere... Non sarà la fine del mondo, potrai impegnarti con tutta te stessa e riprovarci..." Rose sorrise, la luce del tramonto le tinse il volto di rosso.
"Io.." Twilight l'abbracciò "Io voglio venire con voi..."
"Come mai questa decisione improvvisa?" chiese Lei.
"Perché... se rimarrò qui.. nessuno mi presterà i vestiti..."
Un'ora dopo, si ritrovarono con i compagni di Rose nella stanza accanto.
"Dov'è Sheila?" chiese Rose.
"E' andata via poco fa... non era abbastanza coraggiosa per farlo..." mormorò Colin "tanto peggio per lei!"
"Per effettuare il rituale." Spiegò Bartolomeo "La chiave dell'abisso dovrà venire colpita dalla luce della luna. Lo condurremo sul tetto."
Colin e Rose annuirono, mentre con lo zaino dell'amica sulle spalle, Twilight le stringeva la mano.
"Sicura che non vuoi che lo porti io?" le chiese Rose mentre salivano per le scale.
Twilight annuì "Non ti preoccupare, non è pesante.."
"Daccordo.. però mettiti almeno questa..." disse passandole le sua giacca "Almeno non sentirai freddo..."
Giunsero sul soffitto, rischiarati da una luna piena brillante come un diamante.
Bartolomeo raggiunse il centro del tetto, Rose e Twilight si fermarono qualche passo prima, Colin si era fermato a qualche metro dalla porta.
Bartolomeo pose la sfera a terra, in mezzo ad un cerchio dipinto sul pavimento, e subito le incisioni che la ricoprivano si illuminarono di una luce azzurra.
L'uomo alzò le mani al cielo e recitò una formula "Pareti che i mondi dividete, al mio comando vi prego rispondete, che le porte del reale si possan spalancare e noi questa realtà abbandonare!"
La luce emanata dalla sfera si intensificò, avvolgendola completamente, poi ad essa si allungò un raggio fino all'altro lato del tetto, dove esplose, lasciando quello che sembrava uno squarcio nelle realtà, dietro il quale sembravano turbinare tutte le sfumature del grigio.
"E' fatta!" esclamò Bartolomeo "Adesso sbrighiamoci, prima che le porte si chiudano!"
In quell'esatto momento, Colin cadde a terra gridando.
Dalla porta erano comparsi due uomini, con indosso delle armature baroccamente decorate, nelle mani stringevano lance dalle cui estremità si alzavano fili di fumo, dietro di loro, poggiata alla ringhiera della scala, c'era Sheila.
"I grifoni!" gridò Colin contorcendosi a terra "Ci hai venduto al circolo dei grifoni, bastarda!"
Uno dei grifoni tese la lancia in avanti, lanciando un raggio verso Bartolomeo.
L'uomo portò la mano in avanti e dal palmo si schiuse un muro di luce che bloccò il raggio proteggendo le due ragazze.
L'altro grifone aveva puntato la lancia contro la nuca di Colin e aveva pronunciato una formula di rito "Colin Furious, in virtù del potere conferitomi dal circolo dei grifoni, ti condanno a morte con l'accusa di furto, utilizzo di artefatto mistico proibito senza regolare autorizzazione e tentato abbandono del Darkmere senza regolare autorizzazione."
"Va a farti fo..." le parole di Colin vennero interrotte quando una scarica d'energia gli avvolse la testa carbonizzandola.
"Correte verso il portale... Ci penso io a trattenerli!" gridò Bartolomeo alle ragazze, continuando a bloccare i raggi con il suo scudo.
"Ma Bart..." esclamò Rose.
"Niente ma! Io ti ho coinvolta in questa storia e non mia aiuterò fino alla fine!" urlò l'uomo "ora correte!"
Rose strinse la mano di Twilight ed iniziò a correre verso il portale, prendendo da terra, con l'altra mano, la chiave dell'abisso.
I due grifoni portarono in avanti le lance, facendo coincidere le due estremità: una sfera di energia si formò e partì, sfondando lo scudo di Bartolomeo e disfacendone il corpo.
Rose non si voltò a guardare, ma Twilight sentì sul proprio volto cadere le lacrime trasportate dal vento, che Rose aveva versato nel momento in cui l'uomo aveva lanciato il suo ultimo urlo.
Erano a pochi passi dal portale, un salto e l'avrebbero attraversato, quando Twilight inciampò nella veste cadendo a terra.
"No!" Rose si voltò di scatto.
Uno dei grifoni rilasciò una scarica d'energia.
Twilight si alzò.
La scarica di energia volò verso la sua schiena.
Rose la spinse di lato.
La scarica la colpì al petto, la bandiera sulla sua maglietta andò in pezzi, mostrando la pelle bianca che si venava di scottature e piaghe..
Rose gridò, incespicando all'indietro e cadde nel portale, che si richiuse all'istante dopo il suo passaggio.
"NO!" gridò Twilight scoppiando a piangere.
Corse verso il punto dove c'era il portale: nei suoi occhi era impresso il suo viso prima di cadervi dentro, gli occhi vacui, il naso fermo, che non vibrava poiché nessun respiro vi passava, fermo anche il petto, non il minimo sussulto, poiché il cuore non vi batteva più
"E con lei che facciamo?" chiese uno dei grifoni avvicinandola.
"Lei è proprietà del triumvirato. Non possiamo esprimerci nei confronti di qualcuno legato ad un nostro superiore."
I grifoni la sollevarono a forza da terra, strappandola dalla balconata a cui si era aggrappata con tutta la forza della disperazione.
La trascinarono attraverso il tetto, passò accanto ai cadaveri di Bartolomeo e Colin e giunse infine davanti a Sheila, che la guardavo con un'espressione malinconica.
"Mi spiace.. non volevo.. non pensavo che..." Twilight si liberò dalla presa dei grifoni e la colpì in volto con un sonoro pugno, che le spaccò il labbro.
"Non me ne frega niente della tue scuse!" gridò, abbandonandosi alla prese dei Grifoni.
Qualche giorno dopo era in una stanza, la sua nuova stanza.
Stavolta non era una soffitta, era una cameretta come quella di tante ragazze, luminosa, con un ampio letto, un armadio e un mobile pieno di trucchi e accessori per la bellezza.
Lei era seduta sul letto, stretto al petto teneva lo zaino di Rose.
Si alzò dal letto e si guardò allo specchio, poi, lentamente, iniziò a piangere.
Sempre piangendo, si avvicinò al mobile e ne prese un paio di forbici per le unghie.
Le usò per tagliare i capelli, fu un lavoro lungo, quasi eterno, passò ore, seduta sul letto, a vedere le ciocche che si accumulavano di dosso.
Quando decise di averne tagliati abbastanza, si tolse quei vestiti pieni di pizzi e trini di dosso, con dei gesti violenti, strappandoli in più punti.
Rimasta nuda, si avvicinò allo zaino di Rose.
Lo aprì, tirò fuori un paio di Jeans e una maglietta con una bandiera.
Poi indossò la giacca di Rose, che aveva poggiato su una sedia.
Si guardò di nuovo allo specchio.
"Come il sole al crepuscolo... io non mi arrendo..."


THINGS TO COME...

Il rumore dello scalpiccio dei piedi rimbombava negli oscuri corridoi delle fogne ottocentesche, residuati di un'altra epoca, che solcavano spezzoni della città di New York. Beliza Nader fino a qualche giorno prima non sapeva nemmeno come erano fatte le fogne moderne, ed ora stava correndo come una disperata, trattenendo le grida di dolore che le provocavano le piaghe presenti sui piedi nudi.
- Tipregotipregotiprego... - biascicò, ma finì per inciampare.
Si rialzò e si infilò in un tunnel secondario, sperando che l'incubo la perdesse di vista, ma finì per andare a sbattere contro una grata.
- Miodiomiodio...
Si girò per riprendere la fuga lungo il tunnel principale, quando una figura ammantata di nero le sbarrò la strada.
- No! Ti prego, non farmi del male!
La figura emanò dei suoni metallici, stridenti e fastidiosi, poi fece uscire da una piega della sua larga cappa un pugnale dorato e si scagliò sulla donna, incurante delle sue grida, colpendola ripetutamente fino a farle morire le grida in un gorgogliò soffocato, accompagnato da un rantolo.

Ricostruire l'attico di un vecchio palazzo di New York è una cosa che pochi si sarebbero potuto permettere. Uno di questi pochi si chiama Joe Donner, ed ha appena fatto erigere una strana struttura su uno dei palazzi più antichi della Grande Mela.
- Signore, - esclamò soddisfatto l'ingegnere che si era occupato della realizzazione della casa - la sua nuova casa è pronta!
Protese il braccio, indicando la struttura in vetro e acciaio appena terminata.
- Bellissima! - esclamò, mentre una decina di uomini vi entrarono portando con se cinque contenitori sigillati.
- Certo, signore, anche molto inusuale. Voglio dire, molti storceranno il naso davanti a questa cosa qui. E poi, cosa sono queste strane scritte sui muri di vetro?
Il proprietario sorrise, toccandosi il suo pizzetto luciferino.
- Nulla di che, semplici preghiere per dare alla casa pace e prosperità.
L'ingegnere sorrise.
- Certo che l'avete anche riempita di strani meccanismi. Il vostro progetto originale è veramente un gioiello, credetemi.
L'uomo sorrise.
- Lo so, si fidi, lo so.

Luke McNamara chiuse la serranda del suo negozietto di elettrodomestici nel New Jersey, si guardò attorno con attenzione. Il serial killer cecchino che gironzolava per New York lo preoccupava non poco, non aveva nessuna intenzione di finire nel carnet delle vittime. Lentamente si diresse verso la sua auto, parcheggiata in un vicolo a poche centinaia di metri. Arrivò al vicolo, e poco prima di infilarsi, notò un uomo avvolto da un pastrano bianco, e dal volto coperto da un cappello con le tese larghe e afflosciate, anch'esso bianco, che gli copriva il volto.
Deglutì spaventato, poi l'uomo fece un cenno di saluto, a cui Luke rispose prima di infilarsi nel vicolo verso la macchina. Improvvisamente l'uomo nel pastrano apparve alle sue spalle.
- Scusi, ha da accendere?
Luke si girò, sorridendo.
- Mi dispiace, non fumo!
Non fece in tempo a vedere il lungo coltellaccio che si infilava nel suo ventre, attraversando tutto il corpo e uscendo dall'altro lato, spaccando in due la spina dorsale.
- Non ti preoccupare, - sibilò lo sconosciuto, mentre Luke gorgogliava sangue - all'inferno fumerai molto, visto che brucerai in eterno.
Fece uscire la lama e il corpo si accasciò a terra, poi intinse il suo dito nel sangue che zampillava dal buco nello stomaco, e tracciò qualcosa, prima di allontanarsi nel vicolo, sparendo nel buio.

Note: piatto ricco mi ci ficco! Tre storie, anzi in realtà due storie e mezzo. La prima è in realtà un crossover con Gauntlet, una mia serie ideata molto tempo prima che entrassi in Marvelit, e di cui potete leggere le storie tramite il link nell'home page. Come dite? Mancano più di 40 episodi? Effettivamente il sito è più indietro rispetto alle storie scritte, però abbiate pazienza e leggerete tutto. L'avversario misterioso è già apparso una sola volta nel Marvel Universe, e regalo un no-prize a chi indovina di chi si tratta.

Nel secondo episodio esordisce nella mia serie Xel, e produce una gradevolissima storia, che mette in gioco altri personaggi e esplora meglio il tessuto sociale del Darkmere (se dovessi fare un paragone, per quanto forse esagerato, la storia di Xel sta a Darkmere come stava a Spawn la storia di Neil Gaiman).

Il terzo episodio è solo una pasticche degli eventi futuri, che si intrecceranno con l'arrivo di Twilight sulla Terra e il nemico nell'ombra della prima storia. A si, McNamara si riferisce agli eventi che stanno attualmente colpendo la testata del Punitore. Andateveli a leggere, su su! Alla prossima.